#ioleggopisano: il racconto di Nonna Lela

Nuovo appuntamento per la rubrica con gli scrittori "di casa nostra". L' illustrazione è di Fabio Leonardi

Il racconto di Nonna Lela nell'illustrazione di Fabio Leonardi

Il racconto di Nonna Lela nell'illustrazione di Fabio Leonardi

Pisa, 12 aprile 2020 - Nuovo appuntamento con #ioleggopisano, oggi festeggiamo la Pasqua con due protagonisti speciali: Nonna Lela e l'illustratore Fabio Leonardi che già conosciamo per i libri della collana "A Marianeve".

Chi è - Nonna Lela (Daniela Marrazzini), nata a Pisa nel 1954, è stata insegnante elementare per più di 40 anni. Con l’avvicinarsi del Natale, un regalo che non mancava mai di fare era quello di scrivere una fiaba per sua figlia Elisa, prima, e una volta nonna per i suoi nipotini: Michele, Marianeve e Roland. È autrice della collana di fiabe A Marianeve, illustrata da Fabio Leonardi ed edita da Pacini editore grazie al sostegno de La Nazione e di molti altri sponsor. Il ricavato di tutti i libri scritti da Nonna Lela è destinato interamente al Progetto “Il sorriso di Marianeve” GruppoMissioni Africa Onlus, per la costruzione di scuole dell’infanzia in Etiopia https://www.gmagma.org/il-sorriso-di-marianeve-2/

Chi è - Fabio Leonardi nasce a Livorno nell’aprile del 1978, figlio unico, in una famiglia fantasiosa e poliedrica. Il suo percorso artistico inizia frequentando l’Istituto d’Arte di Pisa, poi l’Accademia di Belle Arti di Firenze e consegue infine il diploma di laurea in pittura alla facoltà di Carrara. Illustratore, pittore, scultore, scenografo, grafico, fumettista ed insegnante, Leonardi racchiude in sé infiniti aspetti dell’arte figurativa e utilizza il suo mestiere come uno spontaneo divertimento comunicativo, uno strumento per poter esprimere in tratti e colori la sua fantasia.

ASSASSINIO ALLA BAITA

La strada era stretta e tortuosa, si inerpicava a fatica verso la cima del colle e percorrerla, specialmente in inverno, era un’impresa ardua, ma i due amici dovevano farlo, come ogni anno a fine novembre. Con l’avvicinarsi del giorno del Ringraziamento, si avventuravano su per la collina, verso la baita che Mister Klac apriva ai suoi collaboratori in attesa del Natale.

Ormai erano anni che si ripeteva questo rituale, Mister Klac preparava con cura la vecchia baita, che poi di baita aveva ben poco, assomigliava più a una antica dimora inglese piena di arazzi, di ricche camere addobbate per gli ospiti, di saloni accoglienti e profumati di legno di cedro e invitava i suoi più stretti collaboratori e qualche vecchio parente.

Il maggiordomo e la servitù - tre donne ormai avanti negli anni - preparavano tutto con cura e addobbavano con fresche ghirlande le pareti e il camino.

In mezzo al salone, a piano terra, troneggiava infatti un camino di pietra con una grande mensola di legno e su questa mensola erano posti con cura maniacale candelabri d’argento e carillon di slitte natalizie.

Davanti al grande camino c’era un grande tavolo di legno con 12 sedie intorno, erano sedie con alti schienali intagliati a mano dal miglior artigiano del paese. Dal salone si entrava in cucina attraverso un’alta porta e lì c’era una penisola di marmo e un forno a legna che ricordava i forni delle pizzerie tanto era grande, e poi c’erano scaffali e credenze pieni di pentole di tutte le dimensioni, era una cucina così attrezzata che poteva fare invidia a un ristorante di classe. In fondo al salone c’era anche una comoda scala di legno che portava al piano di sopra e poi proseguiva più piccola fino alla mansarda.

Al primo piano, su un ingresso lungo lungo, si aprivano sette porte, tre a destra, tre a sinistra e in fondo, accanto alla scaletta di accesso alla mansarda, la porticina del bagno. All’ultimo piano c’era una grande camera con accesso privato a un bel bagno con vasca idromassaggio e uno studiolo proprio sotto il lucernaio, quel piano era riservato a Mister Klac e le altre camere erano per la servitù e per gli ospiti.

I due amici salivano imprecando, come ogni anno dovevano raggiungere la baita solo per far contento il loro capo, Mister Klac che regolarmente li obbligava ad essere suoi ospiti per il giorno del Ringraziamento, anche se loro ormai lo avrebbero ringraziato per non andarci.

Purtroppo Mister Klac era troppo potente, teneva le redini dell’industria più antica e fiorente della Contea e loro dovevano come sempre accontentarlo.

Anche la vecchia zia Clara aveva intrapreso quell’antico viaggio, aveva preparato stancamente la sua valigia di cuoio e, chiamato un taxi, si era avviata alla baita, ma quest’anno non era contenta, avrebbe voluto rimanere nel suo castello e riposarsi, per lei quell’appuntamento stava diventando sempre più faticoso, probabilmente per l’età e gli acciacchi, ma suo nipote sembrava proprio non capirlo. Mr. e Mrs. Brown avrebbero fatto a meno di andare alla baita, ma come sempre non avevano potuto rifiutare l’invito di Mister Klac, li aveva aiutati a suo tempo, molti anni prima, quando pieni di debiti, disperati stavano per chiudere la loro fabbrichetta e licenziare i tre dipendenti, lui Mister Klac aveva rilevato l’azienda, assunto i tre operai e ampliato la sua fabbrica con i nuovi proventi e i coniugi Brown si erano messi in pensione tranquilli.

Le sorelle Curt scese dal treno si misero pazientemente alla fermata della corriera ad attendere il pullman, i bagagli ai loro piedi erano tanti, il viaggio era come sempre stancante, treno, corriera e finalmente la baita di Mister Klac, ma più il tempo passava e più le due sorelle non apprezzavano quell’invito, sempre la stessa gente, sempre lo stesso pranzo e la sera sempre la stessa partita a carte, avrebbero voluto cambiare, almeno una volta, ma non c’era niente da fare, loro dovevano andarci, era un impegno di famiglia perché Mister Klac aveva aiutato i loro genitori, assumendoli in fabbrica proprio quando, sconfitti dalla miseria stavano per espatriare, ma le sorelle avevano sempre avuto dei dubbi, forse non era stato poi così generoso per nulla, in cambio si era preso le terre e le vigne che da generazioni teneva il nonno, certo era stata un’annata sfortunata, il vino era poco, la grandine aveva distrutto il raccolto, ma loro padre poteva non scoraggiarsi e invece aveva preso al balzo l’offerta di Mister Klac e ora la famiglia Curt non possedeva più nulla, neppure un’automobile per raggiungere l’odiosa baita, ma solo una scalcinata corriera che passava una volta al giorno.

Anche la famiglia Zacchi, padre madre e marmocchio, si avviava alla baita non certo soddisfatta, erano stanchi di dover ogni anno ripetere quel rituale, meglio il caldo delle Maldive o di un’altra isola dove avrebbero voluto spendere i loro soldi a Natale, ma Mister Klac era il padrone della fabbrica dove Zacchi era direttore generale e quel posto era il più ambito e il più retribuito dell’intera Regione e permetteva alla famiglia agi e ricchezze.

Era quasi il tramonto quando arrivarono tutti, bene o male, alla baita di Mister Klac. Il maggiordomo in livrea si affrettò a prendere tutti i bagagli e aiutato dalle tre donne che da tempo immemorabile facevano parte della servitù, sistemò ogni cosa nelle rispettive camere. Mister Klac era visibilmente soddisfatto ed elargiva sorrisi e strette di mano ai suoi ospiti, incurante del loro poco entusiasmo.

La cena come sempre fu servita alle otto, nel grande salone riscaldato dal caminetto. Ognuno prese posto a tavola sempre lo stesso posto e Mister Klac chiaramente stava a capotavola.

Il maggiordomo fece servire una minestra brodosa e qualche crostino, poi passò con un vino squisito, forse proprio quello delle antiche vigne delle sorelle Curt, pensarono loro scontente. Poi arrivò il secondo e nessuno ne fu entusiasta, era un arrosto misto insipido e senza condimento. Poi finalmente poterono alzarsi da tavola e Mister Klac congedò tutti con un sorriso e con l’augurio di una “Buonanotte”. Il marmocchio avrebbe voluto chattare con i suoi amici, ma nella baita non c’era campo e nessun cellulare funzionava anche quell’anno.

Le sorelle Curt sapevano che in televisione sarebbe stata trasmessa l’ultima puntata della fiction che seguivano da tre mesi, ma la televisione alla baita non trasmetteva e non poterono conoscere il finale della fiction. La vecchia zia Clara si accontentò di usare il telefono per salutare un’amica e i coniugi Brown rinunciarono ad usare anche quello.

Non parliamo dei due amici, avevano conosciuto ultimamente due belle ragazze e forse quei loro giorni di assenza, nella vacanza forzata alla baita, avrebbero fatto perdere interesse alle ragazze, forse sarebbero uscite con altri, cinema, balli o ristoranti e al loro ritorno non le avrebbero certo trovate ad aspettarli. Così si ritirarono tutti scontenti nelle loro camere, Mister Klac nella mansarda, i due amici nella prima camera a sinistra accanto alla cameretta dei coniugi Brown, quella confinante con la camera delle sorelle Curt. A destra del corridoio presero posizione come sempre la vecchia zia Clara, nella prima camera, e la famiglia Zacchi a parete; infine vicino alla scaletta che conduceva in mansarda, in fondo al corridoio, presero posto il maggiordomo e le tre cameriere.

La stanza della servitù era suddivisa in due parti ma con una sola finestra e un grande paravento faceva da divisorio fra il letto delle tre donne, rigorosamente a castello e il letto del maggiordomo a due piazze.

La servitù sparecchiò e mise a posto il salone e la cucina prima di ritirarsi. Era scoccata da poco la mezzanotte quando il silenzio della grande baita fu scosso da un tonfo.

Il marmocchio urlò dalla paura e cadde dal letto mentre i suoi genitori non capivano se il tonfo era stato prodotto dalla caduta del loro figlioletto o se era precedente a quella, comunque si alzarono e si misero a consolare il bimbetto che piangeva a dirotto.

A parete la vecchia zia Clara si svegliò per il trambusto e constatò contenta che non era poi tanto sorda come qualcuno insinuava fosse.

A sinistra si spalancò la porta dei due amici che si precipitarono giù nel salone ancora buio, cercando di capire se il tonfo proveniva da lì, ma nella concitazione inciamparono l’uno contro l’altro e caddero dalla larga scala ai piedi del caminetto.

Si rialzarono svelti e imbarazzati mentre le sorelle Curt ridevano da cima le scale osservandoli. I coniugi Brown rimasero nel corridoio tremanti mentre la servitù salì velocemente la scaletta che conduceva in mansarda, per accertarsi che Mister Klac non avesse bisogno. La porta era chiusa dall’interno e ci volle la forza del maggiordomo, un uomo possente di circa due metri, per abbatterla.

Mister Klac giaceva a terra morto, davanti alla scrivania, il letto ancora intatto come se ancora nessuno fosse andato a coricarsi. Il maggiordomo intimò a tutti di non avvicinarsi mentre la sorella Curt più giovane si affrettava a chiamare la polizia dal telefono fisso, posizionato fra la sala e la grande cucina ancora in penombra. Il marmocchio ripresosi dalla caduta dal letto, si affrettò a prendere il cellulare, se solo ci fosse stato campo avrebbe potuto riprendere tutto con il suo ipad e postarlo così avrebbe ricevuto centinaia di mi piace e sarebbe diventato il più cliccato della rete, ma tutti i suoi sforzi risultarono inutili, il cellulare restava spento e nella baita non c’era campo.

L’auto della polizia, a sirene spiegate squarciò il silenzio della notte e lo fece a lungo perché la stradina tortuosa e accidentata che portava alla baita era lunga e lenta da percorrere.

Il commissario Pelletti fece un ingresso teatrale nel salone ormai illuminato a giorno e a pistola spianata intimò a tutti: “Che nessuno si muova, nessuno esca da qua dentro. Siete tutti indagati e per me siete tutti colpevoli”.

Poi si arricciò soddisfatto i baffi rossicci e si accomodò meglio la pipa fra i denti, gli occhiali spessi spessi e un ciuffo di capelli rossicci lo fecero sembrare ancora più brutto e la zia Clara esclamò “Ma si metta a dieta, che pancia!”.

Il commissario Pelletti sembrò non scomporsi e seguito da quattro agenti raggiunse il luogo del crimine. La mansarda filtrava dall’abbaino un ultimo raggio di luna e l’abbaino era aperto nonostante il freddo intenso della notte.

Per terra giaceva Mister Klac, ai piedi di una antica scrivania, era un uomo sui settant’anni, alto, magro, distinto, il classico lord inglese con una folta barba bianca e i capelli brizzolati. Indossava pantofole a quadretti marroni, uguali alla vestaglia e aveva un foulard di seta ben aggiustato al collo, la faccia era rivolta al pavimento e sulla scrivania c’era un vecchio registro pieno di nomi e di numeri su cui Mister Klac sembrava aver scritto anche di recente, la penna stilografica era a terra proprio vicino alla sua mano destra.

Il commissario Pelletti osservava tutto con grande solerzia e un suo agente scattava foto in tutta la stanza. Sopra la scrivania lo studiolo nascondeva una cassaforte che era ben aperta e dentro era zeppa di soldi e di gioielli da donna.

Per terra il commissario notò con un ghigno, c’era una statuetta di marmo in frantumi, forse il corpo del reato e cominciò a girarci intorno. Dalla cassaforte sembrava non mancare niente, forse il ladro era stato scoperto ed era fuggito senza prendere il malloppo, ma la stanza – dicevano - era chiusa dall’interno e allora? Forse era fuggito dall’abbaino che era ancora aperto? Ma… a meglio guardarlo l’abbaino era troppo piccolo perché un uomo potesse passarci! E allora? Il commissario Pelletti si grattò la testa perplesso; intanto decise che era meglio ascoltarli tutti. Così fece accomodare quella strana folla nel salone davanti al caminetto e lasciò un agente a piantonare Mister Klac e la scena del crimine.

La signora Zacchi chiese un caffè, anzi suo marito chiese una ricca colazione così tutti avrebbero potuto collaborare meglio alle indagini del commissario Pelletti. Era ormai l’alba e, quindi, il commissario permise alle cameriere di preparare tutto: thè, biscotti, una bella torta e qualche toast con il bacon giusto per dare un tocco di salato a tutto quel dolce. Finirono di mangiare che era già giorno inoltrato e all’agente di guardia in mansarda portarono latte e cereali perché ne era ghiotto e poi – finalmente! - il commissario Pelletti iniziò ad interrogarli tutti.

A uno a uno li faceva sedere su una poltrona vicino al caminetto e scriveva tutto quello che avevano da dirgli. Più chiedeva e più scopriva che tutti potevano avere un movente e non capiva perché ogni anno Mister Klac si ostinasse a invitarli, forse per un senso di colpa tardivo o solo per compiacersi dei risultati raggiunti sulle spalle degli altri. Nessuno lo amava e la vacanza alla baita era come una condanna per tutti. Gli interrogatori durarono tutto il giorno e il marmocchio rimpiangeva di non aver campo per il suo cellulare e lo diceva continuamente.

Il commissario Pelletti non aveva idea di chi fosse l’assassino, nonostante tutto continuava ad escludere questo e quello. Anche il vecchio maggiordomo, il classico colpevole di ogni giallo, sembrava innocente perché c’erano le testimonianze delle tre cameriere, che dicevano che non si era mosso: se fosse uscito, infatti, avrebbe spostato il paravento, le avrebbe svegliate tutte e loro erano ancora sveglie quando a mezzanotte avevano udito quel tonfo. All’ora di cena il commissario Pelletti dette il permesso di sedersi al tavolo a mangiare senza la sua presenza e - salito in mansarda - volle restare da solo per studiare meglio la scena del crimine. Chiuse la porta e cominciò a osservare ogni oggetto, compreso Mister Klac che rimaneva tranquillamente faccia a terra con la statuetta di marmo accanto alla testa.

Sulla scrivania il registro a cui aveva lavorato sicuramente, prima che l’assassino lo avesse colpito con la statuetta. Il commissario Pelletti studiò a lungo quei fogli e dedusse che Mister Klac aveva imbrogliato, rubato e approfittato di tutta quella gente che ora se ne stava a mangiare ignara davanti al caminetto.

Non pagava la servitù da anni e si era arricchito con le disgrazie di tutti, la cassaforte era piena di soldi e di gioielli che aveva arraffato negli anni. “Brutta faccenda” pensava il commissario Pelletti, mentre un brivido di freddo gli fece alzare la testa in direzione dell’abbaino ancora aperto, verso il freddo della notte. E mentre pensava, perplesso, a come chiudere quella finestrella, sentì un sinistro sbatter di ali e lo vide e … fece un balzo. Era un grande gufo, un barbagianni, di quelli notturni che spaventano solo a sentirli, con il loro verso lugubre che si dice porti disgrazie. Era un gufo dagli occhi gialli fosforescenti e lo osservava dalla finestrella.

Il commissario Pelletti si alzò sulla punta dei piedi brandendo la pipa come fosse un’arma e faceva versacci per spaventare quell’uccellaccio e farlo tornare via dalla finestra. Ma l’abbaino era in alto, troppo per arrivare fino al barbagianni, così il commissario Pelletti decise - senza pensarci troppo - di salire sopra la scrivania per scacciarlo meglio. In un balzo fu in piedi e stava per raggiungerlo, quando il gufo aprì il becco ricurvo per beccarlo meglio e il poliziotto, per scansarlo, cadde rovinosamente a terra. Il tonfo anche quella notte svegliò tutti i presenti: in un attimo si aprirono tutte le porte delle camere, anche perché quella notte erano tutti svegli … dormire con il cadavere di Mister Klac in mansarda e sapere che fra loro c’era un assassino non lasciava certo dormire sogni tranquilli! Ospiti, servitù, poliziotti corsero verso la mansarda.

La porta questa volta era aperta e videro acciaccato, per terra, il commissario Pelletti, proprio accanto a Mister Klac, ma vivo e con un nugolo di penne intorno. Ancora una volta il marmocchio si disperò di non avere campo: chissà quanti contatti se solo fosse riuscito a postare la scena su you tube! Il commissario Pelletti si alzò da terra un po’ dolorante, ma ebbe la forza di intimare a tutti di scendere e di aspettarlo nel salone perché aveva risolto il caso e lo avrebbe comunicato immediatamente.

Ognuno guardò l’altro con diffidenza, certe ipotesi maturate durante il giorno, certi sospetti ora – finalmente! - avrebbero avuto conferma ed un volto. Ognuno guardava il vicino di stanza e già immaginava i risvolti di quell’inchiesta che il commissario Peletti aveva svolto e risolto così velocemente. Il camino era acceso e tutti stavano in attesa nella grande sala da pranzo.

Il commissario Pelletti accese la pipa per la prima volta, poi chiese un bicchiere di brandy per riprendersi dalla gran botta e finalmente spiegò ai presenti come aveva risolto il caso e chi era l’assassino. Iniziò dicendo che Mister Klac non era quello che credevano tutti, non era un benefattore, tutt’altro e le prove delle sue malefatte erano scritte minuziosamente sul grande registro che era aperto sul tavolo della scrivania, che aggiornava ogni notte e riponeva nella cassaforte insieme alla refurtiva accumulata negli anni. Anche quella notte sicuramente stava facendo questo, giusto prima di coricarsi, quando - ad un tratto - dall’abbaino aperto era comparso un barbagianni.

Mister Klac si era spaventato e aveva cercato freneticamente di scacciarlo, ma il gufo non voleva saperne di andarsene, era rimasto a sbatter le ali sulla finestrella e allora - quasi sicuramente - Mister Klac era salito sulla scrivania per raggiungerlo meglio e per colpirlo aveva preso la prima cosa a portata di mano ovvero la statuetta di marmo che adoperava da sempre come fermacarte, proprio sul tavolo della scrivania dove ormai stava in piedi ben dritto. Il barbagianni, per difendersi, aveva cercato di beccare Mister Klac che, per scansarsi, era finito a terra con un gran tonfo e cadendo probabilmente si era dato da solo una botta in testa con la statuetta di marmo che brandiva verso il barbagianni.

Tutti i presenti rimasero sbigottiti a bocca aperta: l’assassino era il povero barbagianni!