
Piero Pelù
Mr. Spotify finanzia la guerra, e Piero Pelù non ci sta. Daniel Ek, il magnate di Spotify, ha annunciato un investimento di 600 milioni di euro nell’azienda anglo-tedesca Helsing, che si occupa di intelligenza artificiale e produzione di droni, aerei e sottomarini da guerra. Nessuno, fra gli artisti più noti, ha fatto sentire la sua voce. Nessuno tranne lui: Piero Pelù. “Visto che la musica da cui il suddetto signore succhia i suoi enormi profitti parla – oltre che di mille cazzate – anche di amore per la vita, di rispetto per l’ambiente, di pace, noi poveri ingenui abbiamo pensato che i nuovi investimenti, questi 600 milioni, andassero alla ricerca per il cancro, o alle Ong che salvano vite in luoghi di guerra o in mezzo ai mari. E invece no…”, riflette Pelù in un post su Instagram.
“Il multi-mega miliardario della musica investirà i suoi soldi nella costruzione di droni ipertecnologici per fare la guerra e ammazzare altre persone”, scrive Piero. “Lo schifo che sto avendo per certe frange del genere umano non trova mai un limite”. E aggiunge: “Purtroppo i master di tutti i miei dischi non mi appartengono più, altrimenti li avrei ritirati immediatamente dalla fottuta piattaforma di questo schifo di individuo. Magari se molti artisti facessero pressione su questo padrone insensibile della nostra arte, potrebbero farlo ragionare e spingerlo a investire i suoi/nostri soldi in qualcosa di molto più civile, in controtendenza con la m… che i nuovi dittatori ci stanno portando a vivere ogni giorno. Pensaci bene, mr. Ek!”.
La posizione di Piero Pelù sulla guerra e le armi
Da sempre, Piero Pelù non la manda a dire. Sui dittatori del mondo, sulla guerra, contro le armi. Nel concerto di Milano ai Magazzini Generali, con cui lo scorso aprile è partito il suo tour, ha parlato della Turchia, dicendo “c’è un brutto dittatore da quelle parti”, e proclamando “Kurdistan e Palestina liberi”, mentre sovrapponeva sul suo microfono le bandiere dei due paesi. Contro le armi Pelù ha scritto molte canzoni, fra cui “Bomba Boomerang” e “Prima guardia”. Nel 1999 aveva realizzato, insieme a Jovanotti e a Ligabue, un trascinante inno pacifista, “Il mio nome è mai più”, che si rivelò il singolo più venduto in Italia quell’anno. I tre lo avevano cantato insieme in molte occasioni, e Pelù lo ha inserito in due suoi album.
Il maxi investimento
La notizia dell’investimento di Ek è stata riferita dal Financial Times. Ek, attraverso il suo fondo personale Prima Materia, ha erogato 600 milioni alla società AI Helsing, che lavora a sistemi IA per droni, sottomarini e aerei da guerra. L’imprenditore svedese Ek aveva già investito in Helsing nel 2021: adesso è entrato nel consiglio di amministrazione dell’azienda. Ma mentre nel 2021 le reazioni erano state vibranti, provocando la nascita dell’hastag #boycottspotify, la reazione dell’industria musicale è rimasta, stavolta, quasi inesistente. Gli artisti sono prudenti, temendo ripercussioni in termini di visibilità: Spotify ha già mostrato di poter penalizzare artisti critici verso la piattaforma, spostandoli in fondo alle sue playlist. Spotify domina il mercato dello streaming musicale con oltre 600 milioni di utenti, 20 miliardi di euro di fatturato e un valore di mercato stimato in 60 miliardi di dollari. Ek possiede circa il 15% della società. Le major discografiche, un tempo cofondatrici della piattaforma, hanno oggi quote marginali, come Universal che è presente con il 3,3 %, o sono scomparse, come Sony e Warner. Il fisco italiano, secondo Mowmag, incassa circa 70mila euro l’anno da Spotify. Un’inezia, rispetto ai profitti globali. Al momento, l’arte tace. La questione etica rimane, la divaricazione fra le aspirazioni pacifiste della musica e gli interessi di Spotify nell’industria bellica non possono non essere visti. Ma gli artisti non si espongono, e rimane, in direzione ostinata e contraria, la guerra di Piero.