#ioleggopisano: il racconto di Marco Innocenti "Si è fatta sera"

Debutta oggi la nostra nuova rubrica 'dalla quarantena': ogni giorno racconti, favole, fiabe di scrittori pisani. Un regalo per i lettori (n.b. avevamo anunciato a giorni alterni ma ne sono arrivati troppi...)

Lo scrittore Marco Innocenti

Lo scrittore Marco Innocenti

Pisa, 26 marzo 2020 - La nostra iniziativa #ioleggopisano inizia oggi. Primo protagonista: lo scrittore Marco Innocenti con il racconto "Si è fatta sera".

Chi è: Marco Innocenti è nato a Pisa nel 1966. Scrive per adulti e ragazzi. Ha esordito nel 2000 con il romanzo "Contro il resto del mondo" (Baldini&Castoldi), vincitore del premio Euroclub-Linus. La sua collana d'avventura per bambini "Capitan Fox" (Dami/Giunti) è tradotta e pubblicata in Russia, Cina, Corea del Sud e molti altri Paesi. I suoi ultimi libri sono "Agenzia Investigalibri" (Albero delle Matite) e la raccolta di racconti "Il giro del mondo in 18 amori" (Avagliano).

SI E' FATTA SERA

L’uomo è un animale razionale. Ma tutta la razionalità che abbiamo – o crediamo di avere – non ci preserva dalle nostre infinite contraddizioni. Prendete uno scrittore, per esempio. Proprio adesso che sono chiuso in casa e disporrei di tutto il tempo per scrivere in santa pace, be’ faccio tutto fuorché quello. Non ho mai avuto così poca ispirazione. Ho soltanto voglia di uscire. A far cosa? Camminare. Vedere gente. Sdraiarmi sul prato del parco vicino a casa, prendere il sole e fumare una sigaretta, il mio vizio. Ma di scrivere non ne ho proprio voglia.

Dalla porta-finestra del mio soggiorno filtra la luce di una mattina limpida. Oggi inizia la primavera: almeno su questo, il virus non ha voce in capitolo. C’è luce. Sole. Calore. Ma quando mi affaccio sul terrazzino, vedo il deserto. Nessuno per strada, neanche l’ombra di un uomo, un vecchio, un bambino. Uno scenario irreale, che mi ricorda certi film di fantascienza. 

La fantascienza mi è sempre piaciuta. A casa ho centinaia di libri dei più grandi scrittori della narrativa speculativa. Philip K. Dick, naturalmente, tra i più prolifici e forse il più visionario; ma anche Silverberg, Sturgeon, Ballard, Octavia Butler, Keyes con il suo capolavoro “Fiori per Algernon”. E ancora, Matheson – vi dice niente “Io sono leggenda”? – e il mio amatissimo Thomas Disch, l’autore di quello struggente, meraviglioso romanzo che è “Sulle ali della mente”. Non cercatelo in libreria, è fuori catalogo: con un po’ di fortuna potete trovarlo su qualche bancarella dell’usato, oppure su ebay, in una vecchia edizione Urania Argento. 

In effetti, questa potrebbe essere l’occasione per riscoprire la fantascienza. Mentre fuori la polizia municipale passa con l’altoparlante, ripetendo che non si deve uscire di casa se non per necessità, noi ci dedichiamo ai classici del passato. Riviviamo “L’invasione degli ultracorpi” nella versione scritta da Jack Finney, oppure in quella filmata dal regista Don Siegel.

C’è un romanzo splendido di Walter Tevis, “L’uomo che cadde sulla terra”, dove il protagonista è un alieno proveniente dal lontano pianeta di Anthea, atterrato con la sua navicella monoposto nel Kentucky, Stati Uniti. L’extraterrestre ha più o meno le sembianze di un uomo, dimostra un’intelligenza molto superiore alla media – diciamo pure che è un genio – e possiede un passaporto inglese. Il suo nome terrestre è Thomas Jerome Newton. Non svelo la trama, perché il libro merita di essere scoperto pagina dopo pagina. Dico soltanto che anche noi, come l’antheano di Tevis, forse adesso ci sentiamo alieni.

C’è qualcosa di improvvisamente estraneo e minaccioso, nel mondo là fuori. Non possiamo metter piede nei parchi. Non possiamo uscire di casa senza sentirci punti, come se fossero spilli, dagli occhi di chi resta alla finestra. Peggio ancora, non possiamo baciarci, abbracciarci, neanche stringerci la mano. Improvvisamente siamo “Stranieri in terra straniera”, per dirla con il titolo di un altro famoso romanzo di fantascienza, scritto da Heinlein. Fuori dalle nostre case rischiamo tutti di essere illegali, clandestini. 

Ma sono ancora case, le nostre? O sono tante navicelle, come quella dell’alieno? Milioni di navicelle da cui non possiamo uscire. Siamo gli altri. Quelli che non possono. Quelli che non devono. 

Siamo soli di fronte all’invisibile. Il nemico è tutto il mondo là fuori. Se incrociamo una persona la scansiamo con terrore. Attraversiamo il marciapiede per restare a distanza. Indossiamo mascherine perché ci fa paura anche l’aria.

Chi dice che questa pandemia è un’opportunità, be’, mi dà abbastanza sui nervi. Vallo a dire a chi è morto, a chi piange un familiare, a chi ha perso il lavoro! Non è un’opportunità. È una disgrazia bell’e buona, ecco cos’è. Ma poiché dalle disgrazie si può imparare parecchio, auguriamoci almeno di trarne qualche insegnamento. Per parte mia, ho riflettuto su cosa voglia dire sentirsi ospiti indesiderati in un negozio, una strada, una piazza. E forse, quando mi ritornerà la voglia di mettermi davanti al computer, scriverò una storia di fantascienza ispirata a questo virus. Tanti anni fa pubblicai un romanzo breve, “Borderlife”, nel quale la gente più emarginata dalla società diventava invisibile. Letteralmente invisibile: scompariva letteralmente dalla vista del mondo. Era una storia un po’ angosciante, all’epoca mi sentivo così. Mi sembrava che non mi vedesse nessuno, che nessuno percepisse com’era realmente fatta la mia anima; il che, se ci pensate, equivale davvero a essere invisibili.

Avevo detto di non aver voglia di scrivere… invece ho scritto tre pagine, mica male! Fuori intanto si è fatta sera. Soltanto adesso me ne accorgo. Se ne sta andando il primo giorno di primavera. 

Accendo l’abat-jour, poi vado alla porta-finestra e mi affaccio sul terrazzino. Fuori non c’è nessuno, neanche un cane che porta a spasso il suo padrone.

Marco Innocenti 2020