#ioleggopisano: il racconto di Valeria Tognotti

Secondo appuntamento con le opere degli autori di 'casa nostra': "L'angolo buio. I ragazzi non piangono"

L'illustrazione di Matteo Macchi

L'illustrazione di Matteo Macchi

Pisa, 27 marzo 2020 - Secondo appuntamento con #ioleggopisano, dopo il debutto ieri con Marco Innocenti. Oggi è la volta di ValeriaTognotti, arricchito da una illustrazione di Matteo Macchi.

Chi è - Valeria Tognotti vive a Pisa e lavora come autrice e come conduttrice presso Granducato Tv. Laureata in Storia del Cinema si è poi specializzata come editor dedicandosi ai libri per ragazzi. Ha collaborato con le Manifestazioni Storiche Pisane organizzando progetti didattici per promuovere cultura e tradizioni locali. Per il suo impegno le vengono assegnati i riconoscimenti Morione d’Onore (2013) e Guerriero Pisano (2019). Tra i suoi libri citiamo: Da grande non voglio fare la principessa (Mds Edizioni 2015) Ricky Pick e la crisi delle mele (Pacini Editore 2017) Il Gioco del Ponte in Rima (Marchetti Editore 2018)

L’ANGOLO BUIO. I RAGAZZI NON PIANGONO 

Linda chiuse la porta. L’acquario era sempre al solito posto, ma la capanna adesso era così vuota. Fece un sospiro rumoroso. Il mondo sembrava scrosciare su di lei come un acquazzone, non esisteva più una realtà definita cui aggrapparsi. Non c’erano i confini di sempre a confortarla. Adesso esistevano gli spazi abbandonati e i messaggi whatsapp, le videochiamate, ma non le note stonate alla chitarra di Diego, gli abbracci di Matteo, le gomitate di Viola e i sorrisi timidi di Riccardo. E non c’era più suo padre. Se ne era parlato in tutto il quartiere, era una delle vittime giovani. “Sì però era già malato” dicevano le voci. “Sì però era mio padre” rispondeva Linda feroce. Da quel momento anche lei e la sua famiglia erano stati considerati degli appestati e degli untori. Allontanati perfino dalle conversazioni telefoniche. Le sembrò di essere dentro al finale di un episodio di Capitan Harlock, quando improvvisamente il frame del cartone si bloccava impastando i personaggi in una melma grigia che non lasciava presagire niente di buono.

In quel momento invece il blocco sembrava interminabile, il grigio si screziava di un viola-paura e la curiosità di saperne di più era bloccata dalla consapevolezza di non essere all’altezza di quella situazione. La loro vita era diventata come una carogna lasciata essiccare al sole, non aveva più niente da ispirare, o sperare. Adesso che tutto era fermo, immobile, costretto dalla COSA a vegetare senza progetto alcuno. Un vortice, un istante, tutto era cambiato. Nel mondo si era liberato qualcosa di terribile.

21 marzo 2020. Tre del pomeriggio. Gli assembramenti erano già vietati da una settimana e la loro quarantena era cominciata come quella di tutti gli altri abitanti della città. Dalla loro nazione si era pian piano allargata a tutto il globo terrestre, si parlava ormai di PANDEMIA. Un virus letale stava ammorbando il pianeta senza possibilità di riscatto da parte dell’umanità se non quella di una preghiera e l’assoluto divieto di uscire di casa fino a data da destinarsi. Non si potevano frequentare luoghi affollati, non si poteva stare vicino ad altri esseri umani, bisognava mantenere almeno un metro e mezzo di distanza, niente più passeggiate, ritrovi o uscite. Niente più baci e abbracci. Solitudine da scontare nell’isolamento della propria abitazione. Bisognava evitare il contagio, il numero delle vittime cresceva giorno per giorno e gli ospedali non avevano più letti disponibili. 

Le lacrime le punsero gli occhi al ricordo di una quotidianità fagocitata nel nulla. Chiuse le palpebre ed erano di nuovo tutti vicini, ancora una volta, per cercare di ritrovare il senso, di riallacciare il filo, di ricucire lo strappo. C’era Diego, con la sua chitarra. Era venuta Viola che come sempre non ne aveva voglia ma puntualmente si presentava per non sentirsi esclusa. E vide Matteo con i ricci ribelli e lo sguardo dolce. E Riccardo così fragile e sensibile... chissà lui come stava reagendo a quella situazione? Erano i suoi amici, fino a qualche settimana prima erano sempre insieme, ascoltavano The Cure nella capanna che scricchiolava al sole e si confidavano segreti... 

Because boys don't cry

Boys don't cry 

- Questo è un momento molto importante ragazzi, perché prima di  iniziare il rito propiziatorio dell’amicizia dobbiamo confessarci la nostra paura più grande. Non vale mentire! Chi dice le bugie sarà punito dallo spirito che arriverà a trovarci e quella paura resterà con lui fino alla fine dei suoi giorni!

-Ok Linda, comincio io, io ho paura dei clown...

-Eh? -Dei pagliacci! Sì, quelli che si vedono al circo!

-Diego ah ah ah ah, guarda che se vogliono vedere il circo sono loro  che devono venire da te!

-E basta Viola, io intendevo le nostre paure vere, quelle che non  riusciamo confessare neanche a noi stessi. Io... io ad esempio... ho paura di crescere. Che le cose possano cambiare, di perdervi... di perdermi... ecco. Adesso tocca a te Matte.

-Io ho paura... aspetta, fammi pensare... beh sì, anche io... di perdervi,  o perderti... ma soprattuto ho paura di non riuscire a realizzare i miei sogni e di fare una vita mediocre.

-E invece io non ho paura di niente... - provocò Viola.

- Non è così il gioco... replicò Matteo

 - Va bene allora continuo io - proseguì timidamente Riccardo - io ho  paura della morte. Lo so, lo so, a scuola hanno spiegato quella cosa che se c’è lei non ci sono io e se ci sono io, lei non c’è, ma il fatto che dovremo comunque incontrarci, così senza che nessuno ci abbia mai presentato prima... mi terrorizza! 

-Allora Diego, hai ancora paura dei clown?

-No Viola, io ho paura di... non innamorarmi... oppure, forse meglio... di  non potermi innamorare...

- Bravi ragazzi, adesso ci siamo! Adesso possiamo fare il giuramento,  adesso possiamo essere amici per sempre. 

Quel ‘per sempre’ vibrava di fiducia e se ogni giorno avesse avuto i suoi amici a proteggerla, come un piumino in inverno, allora il futuro non sarebbe stato così spaventoso. Una coda guizzante interruppe il flusso dei ricordi. I piranha lasciati in eredità da suo padre continuavano a sguazzare nel loro acquario vitale, scodinzolanti come pitbull. Schiacciati contro la parete marcia della capanna. In quella zona in cui il tronco dell’acero rosso aveva preso il sopravvento piegando l’eternit a sua volontà. Linda riaprì gli occhi. Si voltò verso il suono e si avvicinò all’acquario. Vi fissò dentro. Quei mostri marini, dallo sguardo vitreo e il muso sporgente erano l’unico tramite fra lei e il suo passato.

- Dov’è mio padre!!!!! Maledizione!!!! Ridatemi mio padre... ahhhh!!! Una spinta furiosa e la cedevole struttura in ferro perse l’equilibrio, l’acquario vacillò per alcuni istanti come fosse di gomma e infine si sporse oltre l’abbraccio ferroso, sgusciando verso l’inesorabile rottura. Uno schianto secco tuonò nell’aria. Linda fu costretta ad accovacciarsi e a proteggersi il volto con le mani. Un fiotto di acqua gelata le attanagliò le caviglie. Si scansò. Tutto intorno acqua e frammenti di vetro. Con le loro ali bagnate i pesci annaspavano sul pavimento. I frenetici sussulti si trasformarono lentamente in piccole spinte verso l’alto e poi in rassegnato tremolio, fino a cedere la volontà al passo inesorabile della morte. Sulla parete marcia, imparentata con la corteccia dell’albero apparve una macchia umida e brunita. Linda allungò la mano per toccarla. E la macchia perse immediatamente i suoi confini. Si modificò espandendosi sul tronco e risucchiando la parete di eternit. Linda si sentì avviluppare da viscidi tentacoli e tentò di avvinghiarsi alla parete, venandola con le unghie. Una propaggine infida e verdastra con punte a forma di corona da ogni lato si impossessò prima del braccio poi delle ginocchia e arrivò senza arrestarsi alle caviglie.

- Bastaaaa!!!! - Linda sferrò un colpo contro la macchia cercando di divincolarsi dall’artiglio liquido. Gli occhi persi  dentro i cerchi lividi delle orbite videro la chitarra lasciata da Diego. Con un guizzo la afferrò grattando le corde con un macabro arpeggio. Poi ci fu un colpo secco. Uno strattone improvviso. Un suono limaccioso sancì la sua definitiva scomparsa all’interno della parete.  Avvinghiata alla chitarra Linda finì in un vorticoso cordone ombelicale che la sputò al centro delle sue paure.  Distesa su un pavimento collaginoso, aprì gli occhi e si guardò intorno. Terribile emerse la visione offuscata di un antro semibuio e l’odore di muffa la avvolse come una coltre pesante. Forse aveva conosciuto quell’odore in una chiesa dove sua nonna la portava da piccola. Era da sola, in una dimensione sconosciuta e terribile, a confronto con le sue angosce più profonde.

Diego, Viola, Matte e Riccardo adesso erano solo il ricordo degli amici che aveva avuto. Niente sembrava più normalità. Era questo crescere? Linda provò ad alzarsi di scatto. Incrociò le gambe e vi poggiò sopra la chitarra. Allungò la mano in prossimità della cassa armonica. Il braccialetto che le aveva regalato Matteo le scivolò fino al polso tintinnando sul legno e regalandole un sol armonico. Con le dita pizzicò le corde e fece partire l’accordo perfetto... 

Because boys don't cry

Boys don't cry 

Una folata di vento riversò spore fosforescenti nell’aria. La luce squarciò il buio. Scomposta, tremante, Linda si alzò e cominciò a seguirla. Non pianse, non ebbe paura, guardò dritta e sorrise nervosa. Forse sarebbe stata quella la forza decisiva che li avrebbe salvati tutti. 

 

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