STEFANO BROGIONI
Cronaca

Le inchieste sulle stragi. L’Antimafia si divide. I familiari: “Non archiviate”

Alle 1.04 del 27 maggio 1993 l’autobomba di Cosa nostra che fece cinque morti. Trentadue anni dopo indagini ancora aperte, ma con un conflitto di tesi

Le inchieste sulle stragi. L’Antimafia si divide. I familiari: “Non archiviate”

Firenze, 27 maggio 2025 – Il 27 maggio del 1993, fu uno dei peggiori risvegli per la nostra città e per l’Italia intera. Alle 1.04, un boato aveva squarciato la notte, e di ora in ora l’ipotesi iniziale dello scoppio di una caldaia lasciava il posto ad altre più sconvolgenti certezze: in via dei Georgofili era stata piazzata un’autobomba della mafia. E il tritolo che doveva intimidire lo Stato si era portato via una famiglia intera, i Nencioni, il vigile urbano Fabrizio e la moglie Angela Fiume, le loro figlie Nadia, nove anni, e Caterina, 50 giorni. Nell’incendio che si sviluppò a seguito dell’esplosione perse la vita anche lo studente Dario Capolicchio, 22 anni.

Un'immagine d'epoca della strage
Un'immagine d'epoca della strage

Trentadue anni dopo quella tragica notte, la verità sulla strage non è ancora stata raggiunta; dopo le condanne degli esecutori materiali e del gotha di Cosa nostra (e l’arresto dell’ultimo stragista latitante, Matteo Messina Denaro), si indaga ancora sui mandanti e per capire se, nell’attentato di Firenze e negli altri che verranno a Roma e Milano, si siano saldati la volontà di Cosa Nostra di rispondere alle leggi antimafia dello Stato colpendo il suo patrimonio artistico (anche la Galleria degli Uffizi ebbe danni incalcolabili), con gli interessi di altri soggetti di carattere politico istituzionale.

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Ma l’unità che si creò allora, tra i magistrati che indagavano e la società civile, oggi è lontana. L’Italia è divisa proprio dalla lettura di quella stagione stragista, iniziata con gli attentati che costarono la vita ai giudici-simbolo Falcone e Borsellino. Ci sono procure, come quella di Firenze, che oltre ai mandanti “politici“ come Dell’Utri e - fino alla sua morte - Berlusconi, hanno perlustrato la cosiddetta “pista nera“, e commissione parlamentari che invece sposano la tesi che, alla base dell’eliminazione dei magistrati e della successiva strategia del terrore in Continente, ci fosse un’inchiesta che avrebbe fatto emergere un sistema simile a quello di mani pulite: il filone “mafia-appalti“.

La Dda del capoluogo toscano, ha alcuni fascicoli aperti, che potrebbero presto essere definiti. Ci sono, tra gli indagati, Marcello Dell’Utri come presunto mandante, e, in altri filoni, anche il generale Mario Mori (accusato di non aver impedito gli eventi stragisti ma assolto dopo anni nel processo sulla cosidetta Trattativa) o la ’’biondina’’ Rosa Belotti, inizialmente ritenuta un esterna che avrebbe partecipato alla fase finale dell’attentato milanese di via Palestro. Il tempo stringe, però. Com’è stato per Paolo Bellini, la cui posizione è stata archiviata dopo la scadenza dei termini.

“Il nostro obiettivo di questo anniversario, è ancora una volta di rendere contemporanea la memoria ribadendo la richiesta che sia fatta piena verità e giustizia per i fatti di quella tragica stagione del nostro Paese - dichiara Luigi Dainelli, presidente dell’associazione vittime dei Georgofili -. Di recente abbiamo costituito anche un coordinamento nazionale di Associazioni e familiari di vittime di stragi e attentati e tutti insieme abbiamo chiesto al Governo e alle istituzioni di darci delle risposte: sul lavoro della Commissione Antimafia, sul prosieguo delle indagini e contro le archiviazioni della Procura di Firenze, sui depistaggi e sulle zone grigie richiamati già anche dal Presidente della Repubblica Mattarella che impediscono il 100% della verità e adombrano ancora la nostra Democrazia”.