Firenze, 5 maggio 2025 – Nella strategia stragista della mafia del 1993 si sono saldati gli interessi di destra eversiva e apparati deviati di organi istituzionali? Secondo la Dda di Firenze ci sono “figure esterne a Cosa nostra potenzialmente coinvolte nella fase di ideazione della strategia di attacco allo Stato”.
Ma le indagini che, dal 2022 ai mesi scorsi, si sono concentrate sulla figura di Paolo Bellini, 71 anni, l’ex Avanguardia Nazionale originario di Reggio Emilia, condannato (in primo e secondo grado) anche per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto del 1980 e che avrebbe portato in Sicilia l’“idea criminale” di attaccare il patrimonio culturale nazionale - come gli Uffizi, colpiti tra il 26 e il 27 maggio del 1993 - , non hanno consentito di acquisire “elementi che consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna, con particolare riguardo alle carenze, ancora presenti, nella ricostruzione delle motivazioni dell’azione del Bellini e del contesto in cui maturò la sua azione istigatrice”.

Ombre che hanno spinto la procura fiorentina a chiedere l’archiviazione della posizione del Bellini (richiesta accolta dal gip nelle scorse settimane, tra le proteste dell’associazione delle vittime dei Georgofili che non era stata avvisata dell’atto), ma che continuano ad allungarsi su una stagione del nostro recente passato.
Lasciando però aperti nuovi spunti, come quello, rimasto a metà in questa inchiesta, dei contatti tra Bellini e un elemento del Sismi, l’ex servizio segreto militare.
Poi, ad alimentare i dubbi degli investigatori in 13 pagine di una richiesta di archiviazione che non pare una pietra tombale per la ’pista nera’, ci sono anche le dichiarazioni che il medesimo Bellini ha rilasciato nei suoi interrogatori al riguardo della sua “infiltrazione“ nella mafia siciliana.
Bellini conobbe, da detenuto nel carcere di Sciacca, il boss Antonino Gioè, con cui coltiverà rapporti fino alla misteriosa morte di quest’ultimo, avvenuta nella cella di Rebibbia nel luglio del 1993.
Quando il tritolo aveva già insanguinato, dopo Capaci e via D’Amelio, anche Roma, Firenze e Milano. Tramite Gioè, avrebbe inoculato nella testa mafiosa la strategia del terrore del 1993.
Gli amici di Piccoli. Per motivare le sue interlocuzioni con Cosa Nostra - di cui hanno riferito ai magistrati i pentiti Giovanni Brusca e Gioacchino La Barbera - Bellini ha invece riferito di aver agito “nell’ambito di un mandato ricevuto da una struttura chiamata ’gli amici di Piccoli’”, capogruppo della Dc ai tempi del sequestro Moro.
Degli ’amici di Piccoli’, ha messo a verbale ancora Bellini, “avrebbero fatto parte esponenti della Democrazia Cristiana come Oscar Luigi Scalfaro e Francesco Cossiga, funzionari di polizia e magistrati come l’ex procuratore di Bologna Ugo Sisti”.
Ma la Dda mette nero su bianco che le “affermazioni di Bellini, allo stato, non hanno trovato riscontro circa l’esistenza di tale organizzazione, anche in considerazione del decesso della maggior parte dei presunti appartenenti e della connessa impossibilità di acquisire le necessarie conferme”.
“Elementi concreti”, invece, sui contatti tra Bellini e Giovanni Ciliberti, figura del Sismi in servizio a Bologna a cavallo tra il 1992 e il 1993. Un rapporto, a qualcuno parso da “informatore”, confermato da alcuni testimoni ma che Ciliberti, sentito dalla Dda fiorentina il 4 luglio del 2024, ha contestato, “limitandosi ad ammettere la possibilità di aver parlato di Bellini con il maresciallo dei carabinieri di Reggio Emilia, Mariano Ferrante, quale possibile pista per il recupero delle opere d’arte”.
La pista Sismi, emersa però sul finire delle indagini preliminari, ha sbattuto contro la scadenza dei termini.
Così come resta avvolta nell’“opacità” il motivo dei viaggi in Sicilia di Bellini nella primavera del 1992. A contrasto con le dichiarazioni dei pentiti, che attribuiscono a lui la paternità dell’ispirazione dell’attacco al patrimonio artistico, evidenziando la “maggiore efficacia” di tali azioni rispetto all’eliminazione fisica dei magistrati, Bellini oppone le sue ragioni “filantropiche“.
Cioè di essersi infiltrato in Cosa Nostra, nonostante il suo passato da killer, “come reazione allo sdegno provocato dalla notizia della strage di Capaci” e di aver appreso lui da Gioè il piano d’attacco verso il Continente. Affermazioni inverosimili, per i magistrati, che, nel tentativo di “comprendere le ragioni che hanno sotteso” agli incontri tra Bellini e Gioè, hanno scandagliato anche i contatti che permisero a Roberto Da Silva, dopo l’attentato del 2 agosto a Bologna, di muoversi in latitanza. Accertata l’appartenenza ad Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie, appurati i contatti con l’avvocato di quest’ultimo, Stefano Menicacci.