Versilia, 9 agosto 2025 – Basta passeggiare sulla battigia durante un giorno infrasettimanale, tra un bambino che gioca e un anziano che prende il sole, per accorgersene. Camminare tra un ombrellone vuoto e il picnic di una famiglia, per rendersene conto e vederlo allontanarsi, quel tempo, cui eravamo abituati soltanto fino a qualche anno fa, in cui la zona, meta prescelta da turisti toscani e oltre confine, era vittima e insieme destinazione privilegiata di un affollamento di persone. E che, ora, per cause variabili, sembra non esistere più, con una trasformazione, nel pensiero di chi, il mare, lo vive o lo sceglie.
“È cambiato anche il consumatore, negli anni, perché in parte è migliorato da solo e in parte è stato costretto a rivedere certe abitudini a causa dei costi, che sono aumentati in senso generale, non solo sulla spiaggia ma ovunque – racconta Carlo Bonuccelli, responsabile della sezione viareggina di Confconsumatori –. Frequentare le spiagge e i bagni, per il turismo cosiddetto balneare, si trova di fronte a una spesa che è molto alta. Già prima di arrivare, sulla spiaggia”.
È un aumento dei costi, come appunto sottolinea Bonuccelli, consistente e presente in tutti gli ambiti, “con anche imposte del 30 percento in alcuni casi”, che partono dalle cose più semplici come il servizio di un caffè o la spesa di un panino.
"Sul fenomeno – aggiunge Bonuccelli – c’è da dire anche che ci sono stabilimenti, magari con più servizi e più strutture, che controllano e proibiscono la consumazione. Questo accade nelle zone della Versilia dove già i conti e le offerte sono più alte, come è alta la concessione, sia dei ristoranti che dei bar all’interno degli stabilimenti. Ed è una catena che porta il consumatore a essere spaventato e a rinunciare a quel turismo balneare che conoscevamo”.

Una rinuncia, da parte del consumatore, che come riportato da Aduc, associazione per i diritti degli utenti e consumatori e da Vincenzo Donvito Maxia sembra essere “la logica conseguenza di un minore potere d’acquisto e disponibilità, sebbene i dati ufficiali dicano il contrario, con medie delle statische che non dicono che se 100 spendono 5000, tra questi 100, 90 spendono 1000 e 10 spendono 4mila, con i 90 dell’overtourism, dei voli low cost, degli affitti brevi, del mordi e fuggi e dei panini e pizze nelle località turistiche, mentre solo gli altri 10 sono quelli delle pubblicità bio, delle località esclusive e dei resort”, con un’ulteriore conseguenza sull’economia degli stabilimenti, con cali di presenze e ipotetiche perdite di entrate, attaccati dalla stessa associazione per “l’abitudine negli anni passati a riempirsi di soldi, grazie a sussidi pubblici di ogni tipo – scrive Maxia – Come i balneari che con la complicità dei governanti di ogni tipo occupano le spiagge demaniali pagando affitti come se fossero in un monolocale di periferia, e che fanno pagare disinvoltamente migliaia di euro per i loro servizi del valore di qualche decina d’euro visto che hanno ucciso mercato e concorrenza”.
E’ un’assenza, apparentemente sempre più pesante sulle spiagge del litorale, dovuta anche al cambiamento di abitudini, priorità e desideri degli stessi avventori, a fronte di un cambiamento stesso della società.
“C’è anche un consumo minore delle spiagge, anche perché è venuto meno un fenomeno di moda: molti rinunciano, e non solo i forestieri ma anche i locali che, magari per esigenze familiari, noleggiano o fanno abbonamento agli ombrelloni e non li frequentano - racconta Bonuccelli - Si è persa l’abitudine, e l’esigenza è venuta meno soprattutto nella popolazione adulta, perché oggi chi ha un lavoro e ha uno stipendio medio di 1500 euro non può permettersi una giornata al mare. Sono diversi fattori che si sommano e che costringono le persone a rinunciare, o a fare compromessi”.