GABRIELE MANFRIN
Agrofutura

Chef saporito: “Legame unico tra cucina e agricoltura. Serve amore per la materia prima”

Le parole del volto e anima del ristorante La Leggenda dei Frati a Firenze. Sarà tra i protagonisti di Agrofutura 2025

Lo chef Filippo Saporito spiega che il legame tra cucina e agricoltura è inscindibile. "In cucina serve amore per la materia prima"

Lo chef Filippo Saporito spiega che il legame tra cucina e agricoltura è inscindibile. "In cucina serve amore per la materia prima"

Firenze, 8 giugno 2025 – "Per fare un buon piatto servono ingredienti eccellenti. Come per costruire un palazzo: i mattoni devono essere solidi.” Filippo Saporito, chef e anima del ristorante La Leggenda dei Frati a Firenze, sarà tra i protagonisti di Agrofutura 2025. E parte da una convinzione semplice: senza agricoltura, la cucina non esisterebbe. Che legame c’è tra cucina e agricoltura? "Un legame imprescindibile. Quando avevo tredici anni e sognavo questo lavoro, le uniche scuole che visitai furono l’alberghiero e l’agraria. Perché ho sempre sentito che il cuoco senza agricoltura non esiste. Tutti i grandi colleghi che conosco hanno un amore profondo per la materia prima. Solo conoscendo davvero un prodotto puoi valorizzarlo nel piatto. L’ingrediente fa la differenza". Cosa vuol dire oggi “sostenibilità”? "Per me è sempre stata parte della nostra cultura. In Toscana, come in tante regioni d’Italia, la sostenibilità nasce prima di tutto dal buon senso e dal non spreco. Le condizioni economiche del passato ci hanno insegnato che “non si butta via niente”. Ora possiamo applicare quei principi con maggiore consapevolezza". Il ruolo dello chef è cambiato? "Moltissimo. Quando ho iniziato non c’erano i social, né la spettacolarizzazione. Oggi è normale che lo chef esca in sala a parlare con i clienti, ma trent’anni fa era impensabile. Da un lato è positivo: si accendono i riflettori su quello che succede dietro le quinte. Dall’altro, però, non si vedono i sacrifici: le ore, la fatica, la dedizione che questo mestiere richiede ogni giorno". Tecnologia e tradizione possono convivere? "Devono. La tecnologia ha migliorato tantissimo le condizioni igieniche e ambientali del lavoro in cucina. Quando ho iniziato, c’erano ancora le stufe a carbone. Oggi abbiamo abbattitori, forni programmabili da remoto… strumenti che fanno risparmiare tempo, energia e costi. Ma la tradizione resta la base". Esiste ancora un rapporto diretto tra chef e agricoltore? "Eccome. Per me è anche un modo per dimostrare ai clienti quanta cura c’è nella scelta dei prodotti. Ho un produttore per le erbe, fornitori specifici per ogni ingrediente. Il rapporto con chi coltiva la terra è parte integrante della qualità che offriamo". La cucina può salvare prodotti agricoli dimenticati? "Succede già. Negli anni ’90 e 2000 tante coltivazioni rischiavano di scomparire, ma la ristorazione le ha rimesse in circolo. Penso alla fagiolina del Trasimeno, rinato grazie all’attenzione degli chef. Oggi sono molte le produzioni che si stanno risvegliando". Un ingrediente che la rappresenta? "Il cece. È il più mediterraneo che c’è. Lo trovi in zuppe antiche, ma anche nello street food – come il “5 e 5” livornese. È un prodotto semplice, vero, legato alla terra. E lo producono anche in zona Chianti". Che soddisfazione dà fare lo chef? "Una delle più grandi è vedere il cliente che mastica felice. Quel momento in cui capisci che sta apprezzando davvero: è il carburante che ti fa andare avanti".

Un ingrediente particolare che le è rimasto impresso? "Sì: dieci anni fa ho comprato in un mercatino una pianta di pepe di Sichuan. Per sette anni non ha dato frutti, poi ha iniziato a fiorire ogni settembre. Ha un profumo agrumato, un sapore intenso, quasi elettrico. Ottimo con il pesce. Una scoperta sorprendente". Fuori dalla cucina, dove trova ispirazione? "Nel rugby. Mi piace lo sport con le regole, la disciplina. In cucina, come in campo, serve concentrazione, rispetto e spirito di squadra. È anche quello che provo a trasmettere ai ragazzi".