
Tra il 2025 e il 2029, si stima che poco meno di 45mila lavoratori umbri lasceranno definitivamente gli uffici e le fabbriche
Tra il 2025 e il 2029, si stima che poco meno di 45mila lavoratori umbri lasceranno definitivamente gli uffici e le fabbriche per andare in pensione. La quasi totalità lo farà proprio per raggiunti limità di età o di contribuzione previdenziale. Tuttavia, una piccola minoranza non timbrerà più il cartellino anche per altri motivi, quali il ritiro volontario, la perdita dell’impiego, l’emigrazione all’estero o il passaggio dal lavoro dipendente a quello autonomo e viceversa.
Di questi 44.800 lavoratori (la media è di 360mila lavoratori in Umbria), sono 20.100 quelli attualmente dipendenti del settore privato (pari al 44,9 per cento del totale da sostituire) a conferma che in Umbria il ’pubblico’ riveste una grande importanza. Nel giro di qualche anno dunque assisteremo a una vera e propria “fuga” da scrivanie e catene di montaggio. Un “esodo” mai visto fino a ora, con milioni di persone che in tutto il Paese che passeranno dal mondo del lavoro all’inattività in pochissimo tempo con conseguenze sociali, economiche ed occupazionali di portata storica per il nostro Paese.
Lo sanno bene gli imprenditori che già adesso faticano a trovare personale disponibile a recarsi in fabbrica o in cantiere. Figuriamoci fra qualche anno, quando una parte importante della platea dei lavoratori attivi lascerà l’occupazione, in particolare per raggiunti limiti di età. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha estrapolato i dati emersi dalla periodica elaborazione realizzata dal Sistema Informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere in collaborazione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. In valore assoluto, le regioni più coinvolte dalla domanda di sostituzione saranno quelle, ovviamente, dove la popolazione lavorativa è più numerosa e tendenzialmente ha una età media più elevata.
Al primo posto scorgiamo la Lombardia che sarà chiamata a rimpiazzare 567.700 lavoratori. Seguono il Lazio con 305.000 e il Veneto con 291.200. In coda alla graduatoria c’è l’Umbria con 44.800, la Basilicata con 25.700 e, infine, il Molise con 13.800 unità. I meno coinvolti, invece, saranno i lavoratori dipendenti privati sardi (il 38,5 per cento del totale regionale), i molisani (38,4) e, infine, i calabresi (36,6). In queste ultime regioni, evidentemente, la maggioranza degli addetti da sostituire sarà riconducibile alle categorie dei dipendenti pubblici e dei lavoratori autonomi.