
Francesco Maio ad un osservatorio nel sud della Provenza
di Lorenzo OttanelliFIRENZECome nascono i pianeti? Difficile dirlo, ma ci sono nuovi studi, che portano la ricerca a livelli mai visti prima. E ad essere protagonisti di queste ricerche sono l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) di Arcetri e l’Università di Firenze. Ma com’è vedere un pianeta che nasce? Sicuramente un’emozione immensa per Francesco Maio, il dottorando che ha guidato la ricerca pubblicata su Astronomy and Astrophysics. Lui è originario di Foggia, classe 1998, e all’osservatorio Eso in Cile ha potuto osservare, per la prima volta, un candidato protopianeta. Ma andiamo con ordine, perché "le teorie sulle spirali che circondano i protopianeti sono due – spiega Maio –. Non sappiamo ancora se queste spirali sono la conseguenza della nascita dei pianeti, oppure se si originano da sole, tramite instabilità gravitazionali, compattando la polvere e creando l’ambiente perfetto per far nascere un pianeta". Lo studio di Maio sul candidato protopianeta "HD 135344B b", situato nella costellazione del Lupo a circa 440 anni luce di distanza, sembra confermare la prima ipotesi, ovvero che prima si formi il protopianeta e di conseguenza le spirali, "ma potrebbero essere vere entrambe le teorie. Un altro studio a cui ho partecipato, guidato da un collega cileno, sembra confermare l’altra ipotesi. Questo però porta a chiederci: entro quali soglie avviene l’uno o l’altro processo? E cosa comporta?".
Perché noi non sappiamo precisamente come "nascono i pianeti e studiare come interagiscono con l’ambiente circostante è fondamentale". Questi studi, infatti, sono condotti "su pianeti grandi, simili a Giove, anche se più grandi del pianeta solare. Ciò ci permetterà di comprendere come si è originato Giove e in prospettiva come si formano i pianeti, se c’è una correlazione tra questo e la presenza di vita, oltre a permetterci di capire come si è originata la Terra stessa". Ma com’è stato possibile osservare in modo diretto il protopianeta? Tutto merito delle nuove tecnologie sviluppate da un consorzio, di cui l’Inaf di Arcetri è uno dei principali soggetti. "All’Eso utilizzo Eris, uno strumento costituito da una suite di ottiche adattive, progettate proprio ad Arcetri – spiega Maio –. Questi strumenti permettono di modificare le forme degli specchi in maniera tale da ovviare alle perturbazioni presenti nell’atmosfera". Ed è stato proprio attraverso Eris che il team di Francesco Maio è riuscito "a vedere oltre la polvere. Perché questi nuovi strumenti permettono di vedere attraverso l’infrarosso medio, che fa diventare trasparente la polvere e rendere visibili i protopianeti".
Uno studio che è stato possibile in Cile, perché l’osservatorio è a tremila metri, nel deserto di Atacama, sulle Ande, in uno dei luoghi "più secchi di tutto il mondo, dove l’umidità è al 5% e il cielo è limpido 28 giorni al mese". Un luogo, quindi, ottimale per poter studiare i protopianeti e gli astri. Intanto, conclude Maio, "questo è il primo passo, ma dobbiamo ricordarci che ‘la scienza poggia sulle palafitte’, come diceva Karl Popper, basta un attimo e tutto crolla. Per questo, per essere certi che la nostra ricerca sia valida, deve essere corroborata da altri dati, che ricercheremo negli studi passati sulla stessa stella".