BARBARA BERTI
Cronaca

La Romanina di nuovo senza veli: “Politici, medici e battaglie civili. Ecco la mia Firenze a luci rosse”

A cinquant’anni dalla prima edizione, torna in libreria l’autobiografia di Romina Cecconi, icona trans italiana, “Durante l’alluvione c’erano tanti volontari da consolare: in pochi giorni guadagnai i soldi per l’operazione”

Romina Cecconi, la "Romanina"

Romina Cecconi, la "Romanina"

Firenze, 10 settembre 2025 – “Ero conosciuta all’epoca per l’eleganza: andavo in via Tornabuoni a fare la vita, ma ci andavo con una pelliccia di visone. Facevo un po’ di show, frequentavo le discoteche e poi dicevo a tutti: ‘Ora devo andare in ufficio’, e tornavo per strada”. A parlare è Romina Cecconi (84 anni), tra le prime persone trans in Italia a sottoporsi a un intervento di riassegnazione di genere e a ottenere il cambio di nome sui documenti. La donna racconta la sua vita in ‘Io, la Romanina’, libro autobiografico uscito nel 1976, ora rieditato da Le plurali, che presenterà a Le Murate il 21 settembre (ore 18) durante l’incontro ‘Identità negate, vite conquistate’ con Monica Bellomo (Arcigay Firenze – Altre Sponde) e Carlo Benedetti (FirenzeRiVista). Con un’ironia unica e il suo tono irriverente, l’autrice racconta i primi amori a scuola, le folli notti fiorentine, la prostituzione, il lavoro al circo, il viaggio a Parigi, l’operazione in Svizzera, il carcere e il confino in un paesino del foggiano. Sullo sfondo l’Italia moralista e bacchettona di quegli anni.

Scrisse la sua storia cinquant’anni fa. Perché?

“Volevo essere io a raccontare la verità, volevo mostrare la vita reale di una donna trans, con ironia e coraggio, in un tempo in cui anche solo parlarne era considerato uno scandalo. E, infatti, il libro fece scalpore”.

Come tutta la sua vita...

“Nell’Italia post fascista gli omosessuali erano banditi. Sono stata ricattata, offesa, processata. Tutto questo perché ho sempre sostenuto con forza, con rabbia quando ce n’era bisogno, che non avrei smesso di vestirmi da donna, di sentirmi donna, di essere donna”.

Partiamo dall’inizio: come è stata la sua infanzia?

“Sono nata a Lucca nel 1941 come Romano. Ma io mi sono sempre sentita donna, non una ‘donnicciola’ come mi appellavano. Sono figlia di una violenza e non ho mai conosciuto il mio vero padre. Mia mamma si innamorò e poi sposò un infermiere militare che mi adottò. Era un brav’uomo, ma spesso si ubriacava e diventava violento. Con lui ci siamo trasferiti a Firenze, vivevamo a San Donnino. È morto presto, lasciando mamma sola con tre figli. Così sono finita in collegio, alla Madonnina del Grappa. La mia vita è iniziata a 14-15 anni, quando ho lasciato l’istituto”. 

Ci racconta?

“Trovai il mio primo lavoro in San Frediano, in una bottega artigiana imparai a fare la doratura delle cornici, ma il mestiere durò ben poco: la polizia veniva quasi tutti i giorni e alla fine persi il lavoro”.

Perché?

“Ero segnalata in questura, gli omosessuali erano perseguitati. Esisteva ancora la Buoncostume e io davo scandalo. Fioccavano le multe per oltraggio al pubblico pudore. D’altronde io già mi vestivo con abiti succinti, sgargianti e sculettavo”.

Che fece, allora?

“A quel tempo chi nasceva in un corpo sbagliato aveva solo due scelte: il palcoscenico o il marciapiede. Scelsi il famoso Circo Gratta di Evaristo Caroli. Già lì mi chiamavano ‘La Romanina’. Mi ricordo lo spettacolo di debutto, in piazza Tasso che all’epoca era un piazzale sterrato. Ho lavorato poi in altri circhi ma un parroco di paese mi definì ‘un diavolo tentatore’ per poi chiamare le forze dell’ordine. Così ho iniziato a fare marchette in via Tornabuoni: dai medici ai bancari passando per gli operai”.

Che si ricorda dei giorni dell’alluvione?

“Abitavo in piazza Santo Stefano, vicino all’Arno. Quando il fiume ruppe gli argini dalle botteghe di via Por Santa Maria arrivò ogni ben di Dio, compresa una splendida borsa in pelle di coccodrillo che riuscii ad arraffare. Fu la mia fortuna: la sera andavo alla stazione dove c’erano tanti volontari da consolare e feci in pochi giorni un gruzzolo di 800mila lire”.

I soldi necessari per l’operazione?

“Sì, scappai in Svizzera. Dopo una serie di denunce e processi, ero stata condannata al confino come persone socialmente pericolosa. Solo dopo l’intervento mi sono auto-denunciata. Mi mandarono a Volturino, nel Foggiano: punita non per quello che facevo bensì per ciò che ero”.

Che rapporto aveva con sua mamma?

“L’ho dovuta rieducare, io mi sono sempre comportata da donna ma per lei è stato difficile. Però quando la chiamai dalla clinica in Svizzera e le chiesi aiuto perché non avevo una lira per pagare lei arrivò subito. Ci abbracciammo e piangemmo insieme”.

A Firenze negli anni Sessanta la conoscevano tutti...

“Non solo a Firenze!. In città non c’era festa, night club o appuntamento mondano in cui io e la mia amica Silvia non fossimo le star. Poi è arrivato anche il jet-set internazionale: grazie all’amicizia con le figlie di Chaplin, ho conosciuto Vittorio Emanuele di Savoia. A Porto Rotondo ho conosciuto Gianni Versace, siamo andati in motorino in discoteca, poi Johnny Dorelli, Lory Del Santo e tanti altri”.

Non ha mai smesso di lottare per il suo essere donna...

“Mai. La ‘f’ sulla carta d’identità è stata la mia rivincita seguita dal matrimonio con Antonio Moschonas. Ho aperto la strada alla Legge 164 per l'adeguamento anagrafico dei documenti. Ho affrontato anni in cui la mentalità era veramente bigotta. Oggi? Sicuramente le menti sono più aperte: tanti si dichiarano fluidi. Ma che vuol dire? Comunque resta tanta, troppa, cattiveria e ignoranza amplificata dai social e da Internet”.