
Simone Calmai, Marta Logli, Marco Martini e Marco Biagioni (Pd)
Prato, 21 settembre 2025 – Cartelli, fumogeni, megafono e tamburi. A distanza di sette mesi i Sudd Cobas tornano in corteo: dal Serraglio, attraverso il centro, fino a Palazzo dell’Industria. Non si arrendono all’evidenza di un sistema economico viziato da prezzi al ribasso che schiacciano l’ultimo anello della catena produttiva. In piazza a gridare i propri diritti ci sono loro, gli operai che raccontano turni massacranti, ritorsioni, soprusi, paghe da fame.
Accanto agli operai marciano politici e attivisti: Marco Martini, Marco Biagioni, Marta Logli e Simone Calamai per il Pd; Carmine Maioriello e Chiara Bartalini per il Movimento 5 Stelle; Rifondazione comunista, Alleanza Verdi e Sinistra, il collettivo Gkn, l’Unione sindacato di base, il Comitato 25 aprile. In testa al corteo, a dare ritmo con il tamburo, la candidata alle regionali Antonella Bundu (Toscana Rossa). Assente il centrodestra e i sindacati confederali, le associazioni di categoria “Mi aspettavo che ci fossero” ammette con amarezza Mauro Lorenzini, ex sindaco Pd ed ex sindacalista. “La battaglia è trasversale, non ha colore politico. Ma tra le parole e i fatti, alla fine, c’è sempre una distanza”.
Gli operai e i Sudd Cobas delle assenze si curano poco. A colpi di slogan chiedono “otto ore per cinque giorni la settimana”, rivendicano salari dignitosi e contratti regolari. Questa volta il dito è puntato dritto sui committenti: “Andiamo sotto Palazzo dell’Industria perché Confindustria è coinvolta – scandisce Luca Toscano, leader Sudd Cobas – dentro quell’associazione ci sono i committenti dell’Alba. Abbiamo sentito tutti, tranne loro. Vogliamo sapere cosa hanno da dire e non solo una condanna di facciata. Vogliamo sapere quanto sono disposti a pagare di più per il lavoro”.
La protesta parte dal basso, ma guarda in alto. Toscano promette di “scalare la filiera”. “Se non avremo risposte siamo pronti a piantare le tende davanti alle boutique dei grandi marchi, fino alle sedi dei brand che fanno profitti multimilionari. Altro che modello tradizionale pratese: nei capannoni anonimi di Prato si produce merce sullo sfruttamento. Serve cambiare modello, internalizzare le filiere”.
Il meccanismo è noto: il committente impone al fornitore prezzi impossibili, il fornitore li scarica sul terzista, e a pagare sono sempre gli operai. “Se un cappotto viene stirato per 1,80 euro e poi rivenduto a 1.500, i conti non tornano – insiste Toscano – quello che è accaduto all’Alba, e prima alla Dreamland, è frutto di tariffe che strozzano i fornitori e i fornitori che strozzano gli operai. Il prezzo più alto della merce che finisce nelle vetrine non è quello che pagano i clienti, ma è quello che pagano i lavoratori”.
A sfilare sono soprattutto lavoratori bengalesi, indiani, pakistani, spesso ricattati con stipendi da terzo mondo. Il bersaglio, ormai, non è più soltanto il singolo laboratorio o il subappaltatore disonesto, ma l’intera filiera del lusso, quel sistema di subfornitura che rende difficile ogni controllo e che alimenta un ribasso continuo dei prezzi.
I cori rimbalzano tra i palazzi. Un corteo determinato, che porta con sé la rabbia per le morti sul lavoro, per le notti passate davanti ai cancelli, per le paghe che non bastano a vivere. Dietro gli striscioni, la consapevolezza che la battaglia non è di un giorno: “Siamo pronti a restare – avverte Toscano – a piantare le tende, a farci sentire fino a quando non ci saranno garanzie reali da parte dei committenti”. La marcia si chiude davanti a Palazzo dell’Industria. Lì i Sudd Cobas chiedono risposte chiare: non dichiarazioni di principio, ma impegni concreti su orari, salari, contratti. “Rispondano – incalza Toscano – quanto sono disposti a pagare di più per il lavoro?”. Per ora, resta il suono dei tamburi e il fumo rosso dei bengala. Ma la promessa è chiara: la protesta è pronta a risalire la filiera fino alle vetrine dei big della moda.
Silvia Bini