S’affaccendano affaccendati da giorni i dirigenti del Carroccio pur di minimizzare la gazzarra in corso tra Susanna Ceccardi e Roberto Vannacci. Niente, è scontro tra la la ‘leonessa’ braccio destro di Salvini e il generale. Già nella succursale toscana di via Bellerio tirava un’ariaccia. Lo spauracchio di confinarsi a terza forza della coalizione dietro FdI e Forza Italia, più la tenaglia accentratrice del generalissimo sulle liste della Lega. Del resto Salvini lo ha appuntato come responsabile della campagna elettorale, de facto commissariato il lavoro di Luca Baroncini. Cosa può un segretario regionale a dispetto di uno dei quattro vicesegretario federale? Vannacci medita l’opzione listino bloccato. Sin qui, nessun clamore, la Lega già lo ha usato in passato. Il punto è che i sondaggi proiettano in Consiglio due eletti. Uno potrebbe essere Massimiliano Simoni, fedelissimo del generale, blindato nel listino, più Tommaso Villa, in tempi non sospetti nell’inner circle verdiniano. Simoni e Villa, stop.
Con Pisa, e quindi la delfina di Ceccardi Elena Meini stritolate nella morsa dei vannacciani. Parte da qui la reprimenda dell’eurodeputata e prima sindaca di centrodestra della provincia pisana. In un messaggio al direttivo che sarebbe dovuto rimanere off the records ma reso noto da Repubblica "in maniera scorretta", lamenta la stessa Ceccardi a La Nazione.
"Non so a che punto siano Roberto (Vannacci, ndr) e Luca (Baroncini, ndr) con la redazione delle liste, ma vorrei dire anch’io la mia opinione - scrive Ceccardi -. Cinque anni fa fui chiamata a fare una campagna elettorale impegnativa. Allora eravamo circondati da entusiasmo, un clima che purtroppo oggi non riscontro. Sono sempre stata contraria al listino bloccato. Sarebbe deleterio e l’effetto sarebbe devastante sul morale delle “truppe” – come le chiama Roberto – anche se io preferisco chiamarli militanti. La politica, infatti, non è come l’esercito: qui c’è un gruppo di persone che non ricevono ordini, se non quelli morali che sentono dentro di sé". Della serie: caro generale, questa non è una caserma, ma un partito.
Francesco Ingardia