
Il Museo dell’Opera del Duomo. Secondo Antonio Natali è uno dei grandi luoghi sottovalutati della città
"Siamo tutti quanti conniventi se manca la voglia di restituire la grandezza". Ci spiazza subito, al solito, Antonio Natali, storico di fama, per anni alla guida degli Uffizi, avvezzo a riflessioni raffinate che disassano i piani temporali per riportarci a un oggi fatto di feticci, distrazioni volgari e incapacità di valutare, in termini di bellezza, il ’possibile altrimenti’. Un possibile altrimenti che a Firenze è fatto di gioielli finiti nell’oblio. Il David, il Ponte Vecchio, la Primavera, Santa Maria del Fiore e poi, quasi sempre, ci fermiamo tutti lì.
Professore, proviamo a riscoprirla insieme questa città? "Volentieri. Tra l’altro è da poco uscito per la casa editrice Mandragora un volume, ’I luoghi della speranza. Viatico del pellegrino’ per restituire la conoscenza di tanti luoghi religiosi di Firenze, che sono meno noti ma che hanno una storia secolare".
Partiamo allora e le chiedo subito: qual è la più grande ingiustizia nei confronti di una nostra meraviglia dimenticata? "Tanto dipende da quanto una persona ha nel cuore un luogo, ma io metto sempre avanti a tutti il Cenacolo di Andrea Del Sarto a San Salvi, un capolavoro che regge il confronto con gli affreschi di Raffaello a Roma. Ma si rende conto cosa avvenne davanti all’Ultima Cena?".
Racconti. "Sia il Vasari che il Varchi raccontano la stessa cosa: durante l’assedio di Firenze gli uomini inviati dalla Repubblica Fiorentina nel 1529 a distruggere gli edifici fuori le mura per eliminare la possibilità di asilo alle truppe che straniere, rimasero così colpiti dalla bellezza dell’opera che gli arnesi gli caddero dalle mani. Ed erano persone ignoranti".
Forse lo siamo più noi oggi? "Questa meraviglia ha un migliaio di visitatori scarsi all’anno...".
Andiamo avanti professore. "Il Museo dell’Opera del Duomo, lei vede lì le stesse code che ci sono agli Uffizi?".
Beh, no. "E pensi che dentro ci sono almeno una dozzina di grandi sculture di Donatello. Ripeto grandi sculture, non bronzetti. E poi le opere di Della Robbia. Ma niente, solite enormi file solo all’Accademia. E sa perché? Perché c’è il David, un altro feticcio".
Un feticcio? "Certo. Senza potrebbero chiudere perché tanti ignorano che là dentro ci sono altre opere gigantesche di Michelangelo".
Vicino c’è anche il chiostrino dei voti della Santissima Annunziata. "Un altro gioiello. È lì che nasce la maniera moderna. Andrea Del Sarto ci entra a 23 anni, il Rosso Fiorentino a 17. Più tardi quest’ultimo realizzerà l’Assuznione di Maria. E il Pontormo la Visitazione. Restiamo in zona".
E dove andiamo? "Al Museo degli Innocenti. Nella storia ci sono innumerevoli luoghi nati per aiutare il prossimo che erano anche luoghi d’arte. Il pellegrino era in fondo come un turista".
E forse sapeva apprezzare di più. "Intendo dire, non è che per realizzare l’istituto degli Innocenti fu chiamato un muratore. Contattarono il Brunelleschi. Quel porticato è in tutti i manuali di storia dell’arte".
E il Bargello? "Non me ne parli. Non ha neanche un terzo dei visitatori che meriterebbe".
Parliamo di architettura. C’è qualcosa che vale la pena visitare in città? "Nella prima metà del Novecento sono state realizzate cose importanti. Durante il fascismo che è quanto di più lontano possa esserci da me e che portò alla mostruosità delle leggi razziali, c’era un grande coraggio, una grande capacità di decidere nell’arte".
Un esempio? "La stazione di Santa Maria Novella realizzata a due passi da una delle chiese gotiche più belle d’Europa. E ancora lo stadio Artemio Franchi, che ora stanno sgangherando. E pensiamo alla scuola di guerra aerea alle Cascine. Che eleganza, che purezza. Fu fatta in un anno. Io avevo i travasi di bile pensando alla gru davanti agli Uffizi da decenni".
Ci spiazza ancora con un’ultima idea? "Il palazzo color cioccolato e pistacchio di San Jacopino. E’ sempre stato bistrattato. Ma non da me".