YLENIA CECCHETTI
Cronaca

La scoperta dal restauro. Nell’affresco di Masolino. Sant’Ivo è Sant’Orsola

La giusta identificazione è stata resa possibile dal recupero dell’opera "Una proposta iconografica diversa che apre una nuova stagione di studi".

La giusta identificazione è stata resa possibile dal recupero dell’opera "Una proposta iconografica diversa che apre una nuova stagione di studi".

La giusta identificazione è stata resa possibile dal recupero dell’opera "Una proposta iconografica diversa che apre una nuova stagione di studi".

Certe storie, anche quelle d’arte, aspettano decenni per rivelare la loro verità. E a volte, per chiuderle, serve un cerchio lungo più di 80 anni. È quello che accade oggi a Empoli, dove uno dei frammenti più misteriosi e viaggiatori del primo Rinascimento toscano cambia nome, volto, e significato. Con il restauro appena svelato nella chiesa di Santo Stefano degli Agostiniani, è emerso che il celebre affresco conosciuto da tutti come "Sant’Ivo tra i pupilli" – attribuito a Masolino da Panicale – non rappresenta affatto un Santo. E nemmeno quei ’pupilli’ adoranti che per oltre mezzo secolo hanno accompagnato il titolo dell’opera. Oggi, con certezza documentata e lettura aggiornata, quella figura è Santa Orsola, e le ragazze che la circondano sono le vergini martiri che la seguirono nel viaggio a Colonia, secondo la tradizione cristiana. Una scoperta destinata a far scuola, frutto di una lunga indagine artistica, storica e filologica, condotta durante il recente restauro da Lidia Cinelli, con la supervisione della Soprintendenza Sabap per la Città Metropolitana di Firenze e per le province di Pistoia e Prato, di Laura Torricini storica dell’arte, e dei funzionari Alberto Felici ed Elena Alfani. "Un affresco conosciuto in tutto il mondo come Sant’Ivo coi pupilli – ha confermato la soprintendente Antonella Ranaldi – ci ha rivelato una nuova identità. Una proposta iconografica completamente diversa, che ci restituisce l’immagine di Santa Orsola e le vergini, aprendo una nuova stagione di studi sul ruolo di Masolino a Empoli nel Quattrocento". Finalmente sciolto il rebus. Scoperto nel 1943, durante una campagna di saggi diretta da Ugo Procacci, l’affresco fu attribuito a Masolino, ma la sua iconografia risultò fin da subito enigmatica: una figura incompleta, senza volto, con un bastone e un mantello di vaio, simbolo di potere. Fu Mario Salmi, nel 1947, a proporre per primo l’identificazione in Sant’Ivo, protettore dei pupilli, ipotesi che diede il nome all’opera. Nel 1958 il frammento fu strappato e cominciò a viaggiare per il mondo: Londra, New York, Osaka, diventando un’icona della rinascita artistica post-bellica. Ma quel nome, diventato ormai familiare, nascondeva una lettura errata. Negli ultimi anni, nuove ipotesi si sono affacciate: prima "La Festa della Candelora" (ipotesi fatta da Francesco Suppa e pubblicata nel catalogo della Mostra del 2024), poi il dubbio che quel Santo fosse una Santa. Oggi, grazie al lavoro di restauro e analisi, l’identità viene finalmente restituita: Santa Orsola tra le undicimila vergini martiri, un soggetto caro alla tradizione agostiniana, e perfettamente coerente con il contesto. Ora l’opera, rientrata nel suo ambito originario, brilla di nuova luce, nel senso più pieno del termine. Non solo per l’intervento che ne ha restituito la brillantezza cromatica, ma perché una nuova pagina di storia dell’arte empolese si è scritta, con una svolta che rilancia lo studio dell’arte sacra del primo Quattrocento. "Un restauro – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Matteo Bensi – che non solo restituisce bellezza, ma cambia la narrazione, arricchendo la memoria collettiva e il patrimonio culturale cittadino". L’intervento conclude il ciclo di recupero del transetto destro della chiesa di Santo Stefano, ma apre nuove strade di ricerca, anche grazie a una sinopia sottostante, mai analizzata in profondità, che promette nuove scoperte. Empoli ha celebrato così non solo il ritorno di un capolavoro, ma la risoluzione di un enigma, custodito per decenni sotto il nome sbagliato. Quel “volto senza volto“ ha un nome. E una storia nuova da raccontare. Ylenia Cecchetti