
Due foto di Puccini durante i banchetti dopo le battute di caccia in Maremma, nelle tenute degli amici Antinori e della Gherardesca
di Maurizio SessaFIRENZEMaremma amara? Sì, ma anche dolce Maremma. Reduce dalla “prima” de La boheme, il 1° febbraio 1896 al Teatro Regio di Torino, Giacomo Puccini scoprì la Maremma. Al tramonto di quell’anno, nel mese di ottobre, Puccini apparve a Bolgheri, ospite dei conti della Gherardesca, fra le più antiche casate di Toscana.
Quando Puccini varcò l’ingresso del maniero di Bolgheri erano trascorsi pochi mesi dal lungo restauro – comprendente la facciata ristruttura in stile e l’innalzamento della torre merlata in corrispondenza dell’ingresso al paese – che diede alla costruzione l’inconfondibile aspetto oggi ammirato da migliaia di turisti e che il critico letterario Emilio Cecchi paragonava a un fondale degmo de “Il Trovatore” di Giuseppe Verdi. Dieci anni prima, Giosuè Carducci si era piazzato davanti all’obiettivo del fotografo, in posa da gita scolastica con i suoi vecchi compagni di Bolgheri, il paese dove aveva trascorso la sua burrascosa infanzia, reso eterno nell’ode Davanti San Guido. La tenuta dei della Gherardesca agli occhi di Puccini si rivelò una riserva di caccia più munifica del Lago di Massaciuccoli. In una zona quasi spopolata, con ampi spazi ricoperti da boschi di lecci, querce, sughere, frassini, castagni ed olivastri selvatici, da macchie di eriche, ellere, corbezzoli, mortelle e ginepri, da estesi paduli ricchi di cannucce e scarze, di stagni più ristretti formati da lame e piscine con ontani e tamerici, da tomboli rivestiti da pini, rosmarini, biancospini e sabine e da incolti a sodo, stoppia e maggese spesso infestati dai rovi, la selvaggina aveva trovato un habitat ideale.
Nell’eden venatorio della terra degli Etruschi sbocciò l’amicizia di Puccini con Giuseppe della Gherardesca, Conte Palatino, Nobile dei Conti di Donoratico, Patrizio fiorentino, Patrizio di Pisa, Patrizio di Volterra, Nobile di Sardegna, che aveva visto la luce a Firenze dal conte Alberto Guido della Gherardesca e dalla statunitense Giuseppina Fisher. Nella primavera del 1903, a New York, Giuseppe si era unito in matrimonio con Harriet Taylor. La contessa Harriet, alla toscana chiamata Netta, era nipote del banchiere Moses Taylor, fra gli uomini più ricchi del suo tempo: dopo aver controllato la National City Bank di New York, alla sua morte aveva lasciato un patrimonio stimato in 70 milioni di dollari. Un’amicizia, quella tra Giacomo Puccini e Giuseppe della Gherardesca, affettuosamente soprannominato “Beppino”, che è certificata da oltre 150 lettere del compositore lucchese custodite dal marchese Piero Antinori, figlio del marchese Niccolò Antinori e di Carlotta della Gherardesca. Malgrado la differenza di età, tra i due correvano diciotto anni, dal 1904 al 1923 Giacomo e Beppino rimasero costantemente in contatto.
L’11 novembre 1923, giusto un anno prima di “ridare il fiato” per dirla con Gianni Schicchi, Giacomo commissionò a Beppino l’acquisto a Parigi di un apparecchio di Tsf-Telegrafia senza fili poi installato nella villa di Viareggio: "Caro Beppino. Ti rammento di prendermi la T. S. F. per Viareggio. Prendilo, l’apparecchio, per Paris-Londra se possibile, ormai mi son messo la fregola nel sangue per questa cosa. E divertitevi, va a sentire le opere nuove alla op. com (l’Operà Comique di Parigi, ndr): e dimmi le tue impressioni. Saluti alle signorine e auguri che abbiate bel tempo. Qui piove da due giorni. Saluti aff. tuo GPuccini". Con il filo sentimentale della sua opera Puccini continua a legare tra loro i cuori di milioni di appassionati sotto ogni latitudine.