
Uno scatto della Firenze alla fine degli anni Ottanta nella quale sbarcò il giovane Aldo Cursano
"Con i primi soldi mi comprai subito il motorino. Era un altro mondo...". Aldo Cursano si scioglie virtualmente il nodo della cravatta d’ordinanza – d’altronde è il numero uno di Confcommercio Toscana – e si riaggiusta il colletto da ragazzo del sud piombato dalla natìa Puglia nella Firenze del 1985. Scintillante ma insieme popolare. Ricca, tosta, ruvida. Tronfia eppure ’alla portata.
Cursano, lei ce l’ha fatta. Niccolò ci racconta di avere poche speranze nella Firenze del 2025. I suoi ricordi... "Arrivai qui a 22 anni, studiavo Economia e commercio".
E come si manteneva? "Cominciai facendo il cameriere e poi il barista nei locali di via de’Cerretani".
L’affitto era un problema? "Macché, avevo un alloggio in San Lorenzo. Spendevo 180mila lire al mese, forse 200mila".
Oggi in un quartiere così, zeppo di Airbnb, una cifra simile simile sarebbe impensabile. "Ma figuriamoci. Ma tenga presente che era completamente un’altra Firenze. In San Lorenzo ci abitavano gli artigiani, c’erano tantissimi negozi. Nel fine settimana arrivavano qui da tutta la provincia a scoprire le novità in vetrina. Mi ricordo Marino Groovy, che nostalgia".
Ma era comunque una città caruccia per un ragazzo del sud? "Niente di paragonabile con quella di oggi. C’era la pizza a taglio sotto casa, c’erano le trattorie. Con poche migliaia di lire si mangiava. E poi ricordo il cocomeraio che ci deliziava nelle sere d’estate in piazza del Duomo, pensi un po’".
La città era insicura come oggi? "Ma sta scherzando? Passeggiare di giorno era una meraviglia. E la sera tanti locali intercettavano la voglia di stare insieme. Penso al Kasar, al Red, al Mccano. Oggi invece...".
E insomma lei fa il cameriere, e poi? "Poi con la famiglia Valenza arrivo al Caffè Paszkowski. E lì cambia tutto perché inizio con la gestione del personale, anche di 40 o 50 dipendenti... Ed è stata la mia rovina (ride ndr)".
E perché? "Sto scherzando. Mi innamorai di quel mondo e mollai l’università. Però una cosa va detta: al tempo se volevi lavorare lavoravi. C’era spazio per tutti, specialmente per i sogni".
Quegli spazi che, leggendo la lettera di Niccolò, sembrano non esserci più. "Con il lavoro che faccio ho modo di confrontarmi con tantissimi giovani. Vedo che si sentono fuori contesto, non si riconoscono in questo modello sociale che non dà loro un ruolo, non premia le loro sensibilità. Il turismo muove e mangia tutto".
Tanti sostengono che manchi la voglia di sacrificarsi che altre generazioni avevano... "Mah, io faccio un ragionamento diverso. I ragazzi oggi hanno i loro sogni come li avevamo noi allora, ma nessuno dà loro gli spazi per costruirseli".
Come mai secondo lei? "Il modello sociale è cambiato. È spietato. Le banche i soldi li danno solo ai gruppi di potere, a chi lucra sulla rendita e non a chi ha delle idee fresche. E allora loro si sentono stritolati in questi meccanismi produttivi in cui sono solo numeri. E sfuggono. Sa che in molti rifiutano anche i contratti a tempo indeterminato".
Che era l’aspirazione massima di una volta. "Certo. Come lo era la macchina nuova, l’accensione di un mutuo. No, loro non ci stanno. Assistono a una deriva morale e sociale e in risposta danno più valore al tempo che al lavoro".