REDAZIONE AREZZO

Benvenuti e l’oro sotto pressione: "La partita non è ancora finita. L’incertezza? Una maledizione"

L’amministratore delegato di Chimet e Unoaerre: "Il mercato con gli Stati Uniti si è fermato: credo però che il presidente americano voglia ancora trattare. Meglio fissare una percentuale: basta annunci e rinvii".

Una precedente edizione di OroArezzo. Il distretto si appresta ad affrontare i dazi al 30% imposti dal presidente Trump all’Ue

Una precedente edizione di OroArezzo. Il distretto si appresta ad affrontare i dazi al 30% imposti dal presidente Trump all’Ue

Da Washington arriva un colpo da ko per l’export orafo aretino: dazi del 30% su tutti i beni importati dall’Unione europea. Per il distretto di Arezzo un’altra prova di resistenza. Ma Luca Benvenuti, amministratore delegato di Chimet e Unoaerre, due colonne dell’industria orafa, invita alla calma. "La partita dei dazi non è ancora finita" avverte.

Benvenuti, in queste ore si parla dell’impatto dei dazi Usa sull’oreficeria. Come sta reagendo il comparto?

"C’è molta preoccupazione, e non potrebbe essere altrimenti. Il 30% di dazio è una botta forte per un distretto che già affronta tasse doganali da quasi il 16%. Le aziende orafe, soprattutto quelle meno strutturate, sono in difficoltà. Ma non è il momento di farsi prendere dal panico: dobbiamo capire cosa succede e reagire con razionalità".

Che segnali arrivano dal mercato Usa da Trump in poi?

"Un segnale chiaro: il mercato è fermo. Con un 30% in più sul prezzo finale, non è il momento di comprare beni di lusso. Questa lunga fase di incertezza congela tutto. Meglio una cifra fissata che annunci e rinvii: il mercato poi si organizza...".

Le aziende stanno già risentendo di questa situazione?

"Sì. L’export verso gli Stati Uniti per molte imprese si è fermato. E questo significa problemi di liquidità, prodotti fermi, ordini sospesi. Il tutto in un contesto già complicato da un prezzo dell’oro molto alto. Il risultato è che i distributori aspettano a ritirare la merce, mentre le aziende devono anticipare il costo del metallo. È un doppio peso. Per chi non ha struttura solida, diventa insostenibile".

Ci sono vie d’uscita?

"Dobbiamo guardare altrove. Diversificare è la parola chiave. Rafforzare la presenza in Francia, Germania, Spagna, dove comunque ci sono opportunità. Ma c’è da adattarsi: là non ci sono le piccole gioiellerie italiane, ci sono le grandi catene".

Questo significa cambiare modello di distribuzione?

"Sì. In Europa il canale prevalente è quello della grande distribuzione, gruppi che controllano centinaia di punti vendita. Noi italiani siamo abituati al dettaglio, alla bottega. Ma quel modello, fuori dall’Italia, non esiste. Per restare competitivi servono i grandi circuiti".

Lei amministra anche Chimet. In un contesto così, che ruolo gioca avere colossi del recupero oro?

"Quando i mercati si fanno turbolenti, la filiera corta diventa un vantaggio. La possibilità di gestire in modo diretto il metallo, recuperarlo, affinarlo, avere meno passaggi e meno costi, può fare la differenza".

Teme una vera guerra commerciale tra Usa e Ue?

"Spero di no, ma il rischio c’è. I dazi sono spesso usati come leva negoziale, non solo economica. Se l’Europa risponde con misure equivalenti, si può entrare in un’escalation che non conviene a nessuno. A pagarne il prezzo sarebbero le imprese".

Federico D’Ascoli