
Il progetto dell'ex scalo merci presentato dal Comune
Arezzo, 14 luglio 2025 – Il presidente dell’ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della provincia di Arezzo interviene a seguito della conferenza stampa del 23 giugno, in cui l’Amministrazione Comunale ha presentato e illustrato il progetto “Terzo luogo” sull’area ex scalo merci.
L’Ordine degli Architetti P.P.C. di Arezzo partecipa con alcune riflessioni, esprimendo qualche perplessità tanto sul merito quanto sul metodo con il quale è stato impostato il processo di trasformazione di questo importante ambito urbano.
Perplessità che non escludono la propria disponibilità a contribuire su tematiche così importanti per la città, specialmente quando queste incidono sulle eredità che scelte così rilevanti lasciano, in prospettiva futura.
Non è questo il momento e il luogo per entrare nel merito del progetto architettonico di “public library” che è stato redatto e presentato con grande efficacia, passione e attenzione dai colleghi incaricati. Tuttavia non possiamo ignorare che un processo di trasformazione di questa portata richiede anche una visione più ampia, che consideri il tessuto urbano nel suo insieme, con le sue criticità e la sua necessità di essere ammagliato al contesto di prossimità.
Non è neanche il momento e il luogo di discutere della funzione nuova biblioteca, della necessità di pensarne una nuova e, non di meno, di cosa comporta privare il cuore della città ereditata dell’ennesimo elemento di primaria funzione pubblica. Non possiamo però esimerci, sul merito, dal constatare la mancanza di una visione complessiva a scala urbana.
Visione che analizzato il tessuto urbano attuale lo ridefinisse come pezzo di città, progettando quella maglia viaria gerarchizzata necessaria per tenere insieme i pezzi della città stessa e, allora sì, definire un luogo nell’esercizio oltreché nell’enunciato.
Sarebbe forse stata utile una lettura del tessuto urbano abbinata a una ricerca storica di un passato neanche tanto lontano per vedere subito come le previsioni urbanistiche a partire da un secolo fa avessero affrontato e risolto l’annosa questione (i piani Piccinato ante e dopo guerra, quello Venturini a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, fino al piano Gregotti degli anni ’80).
L’elemento primario di ammagliatura è sempre stato il prolungamento di Viale Pier della Francesca sulla sua direttrice naturale verso attuale nuova rotatoria di Via Baldaccio. Lo hanno insegnato i romani, che prima realizzavano le strade, su maglia gerarchizzata, e poi gli edifici.
Lo hanno insegnato e ciò è stato compreso ed eseguito fino a che si è passati dall’urbanistica alla pianificazione, con la seconda che ha prevalso sulla prima facendo venir meno disegno e progetto; cancellando così secoli e secoli di buone pratiche. Questa lettura e questa ricerca purtroppo mancano completamente in ciò che è stato presentato e qualunque progetto puntuale di edificio puntuale - nel nostro caso con funzioni anche un po’ vaghe (faccio cose vedo gente) - non potrà mai essere “inserito” e diventare parte integrante di un contesto urbano fatto di relazioni quotidiane continue.
Sul metodo non possiamo fare a meno di evidenziare come scelte così importanti, pubbliche o private, destinate a progettare pezzi o anche solo elementi di città non possono non coinvolgere un pubblico di idee il più vasto possibile.
Quando un’opera è destinata a diventare elemento nodale del futuro, questa deve essere oggetto di proposte ampie e allargate, e da lì avviare un processo mirato a definire la sequenza degli spazi pubblici (magari in un documento preliminare alla progettazione condiviso) che possa essere la traccia sulla quale impostare la progettazione vera e propria.
L’Ordine degli Architetti P.P.C. per garantire la qualità dei progetti destinati a cambiare la città, promuove da sempre lo strumento del concorso, che assicura contemporaneamente trasparenza, perseguimento del massimo interesse pubblico e qualità dell’esito, oltre a selezionare il progetto migliore rispondente ad un’idea precisa di trasformazione urbana che incida sul patrimonio collettivo.
Lo fecero a Firenze per risolvere il problema della cupola di Santa Maria del Fiore, perché non ripeterlo ad Arezzo per fare di un non luogo una parte di città?