
Da sinistra Giulio Picchi, Eleonora Riso, Filippo Saporito, Andrea Battiata
Firenze, 12 giugno 2025 – Il cibo come racconto, come scelta, come gesto civile. Più che un panel, un piccolo manifesto. Si è parlato di terra, di piatti e di visioni all’AgroFutura Festival, ieri a palazzo Strozzi Sacrati. A moderare il confronto la giornalista Olga Mugnaini. A dialogare, tre chef e un agronomo: Giulio Picchi, Filippo Saporito, Eleonora Riso e Andrea Battiata. In comune, un’idea forte: nutrire è un atto che va ben oltre il gusto. A dare il “la” è stato Giulio Picchi, che al Cibreo ha fatto della tavola un’estensione del campo. “Non ti servo solo un pomodoro. Ti prendo per mano e ti porto nell’orto. Così sai dove finiscono i tuoi soldi: li puoi toccare”.

Una battaglia contro il conformismo alimentare che uniforma e appiattisce: “Dietro la convenienza si nascondono disastri. La diversità va difesa, non solo trasformata. La ristorazione non deve solo creare piatti buoni, ma attivare riflessioni: su come ci nutriamo, su cosa scegliamo”. La sua bussola è quella ereditata dal padre, Fabio: “Mi ha insegnato a riconoscere le mode e a non correrci dietro per forza”.
Tra chi coltiva e chi cucina, il ponte lo costruisce Andrea Battiata: da anni sperimenta terreni ad alta vitalità nutrizionale, senza chimica, usando compost vegetale, lombrichi e funghi.
“Abbiamo ridato fertilità naturale alla collina di Bellosguardo. A cinque minuti dal centro, ma con ortaggi che fanno bene davvero”. E non è solo una suggestione romantica: “Abbiamo condotto una sperimentazione su persone sane e i dati clinici mostrano dei miglioramenti”. Firenze, in questo, è terreno fertile: “La Toscana è una regione che ha capito il valore di questo passaggio”.
Più intima la visione di Eleonora Riso, vincitrice di MasterChef e cuoca “domestica” per vocazione: “Non avendo un ristorante, cucino per me e per chi amo. L’attenzione inizia da noi stessi. Se ognuno stabilisse un contatto vero con ciò che mangia, cambierebbe tutto”. La relazione tra cuoco e commensale per lei non si consuma in cucina, ma a tavola: “È lì che avviene il vero incontro”. E sulla sua visione di cucina: “Non voglio stupire, voglio accompagnare”. Intanto sogna la campagna: “Quando sono dovuta tornare in città, ho sentito un vuoto”.
Infine, Filippo Saporito, chef de La Leggenda dei Frati, che tra i fornelli ci è arrivato per vocazione precoce. “In terza media volevo fare l’alberghiero. Il professore di matematica chiamò casa per dissuadere i miei”. Ma lui non ha mai separato agricoltura e cucina: “Se non potevo cucinare l’alimento, volevo almeno produrlo”.
Oggi continua a farlo con rispetto per la storia — ma senza nostalgia. Racconta che il nome del suo ristorante deriva da una leggenda: “Si narra che alcuni frati, dopo un banchetto a base di germogli, si misero a cantare e ballare disturbando gli altri. Vennero rinchiusi in uno scantinato. La leggenda vuole che ogni estate tornino a danzare nella zona”.
Un panel fitto, concreto, che ha dato sostanza al tema dell’evento nell’ambito del festival AgroFutura. A dimostrare che parlare di cibo, quando lo si fa così, non è mai solo una questione di gusto ma anche di benessere e consapevolezza.