
Il professor Andrea Fagiolini è ordinaro di psichiatria. e direttore Dipartimento Salute mentale alle Scotte
"Questi episodi ci insegnano che la violenza non è mai un fatto isolato. Non riguarda soltanto la vittima e gli aggressori, ma tocca tutti noi perché mina il senso di fiducia, serenità, libertà e sicurezza che ci permette di vivere insieme. La piazza è il cuore della città, appartiene a tutti, e vederla trasformata in teatro di aggressione colpisce profondamente tutta la comunità", il commento del professor Andrea Fagiolini, ordinario di psichiatra dell’Università.
Sgomento ma anche rassegnazione? "È comprensibile provare paura o rabbia di fronte a immagini così forti, soprattutto quando i social le diffondono in tempo reale. Ma il vero rischio è la rassegnazione: pensare che ‘ormai è normale’ e non possiamo farci niente. Non è così. La violenza non deve diventare parte del paesaggio urbano. L’unico antidoto è la partecipazione: segnalare, collaborare, non voltarsi dall’altra parte. La sicurezza non si costruisce solo con pattuglie e controlli, ma con una cittadinanza attiva, che sente il diritto e dovere di avere voce e responsabilità".
E le forze dell’ordine? "Ruolo centrale, ma non esclusivo. Le forze dell’ordine garantiscono presenza, professionalità, intervento rapido. Ma la loro efficacia cresce quando i cittadini collaborano. Non si tratta di ‘fare la spia’, ma di diventare custodi degli spazi comuni. Quando un episodio viene visto, segnalato, documentato, diventa molto più difficile che resti impunito. La sicurezza nasce dall’alleanza tra istituzioni e comunità".
C’è chi collega questi episodi alla presenza di stranieri. "La violenza non ha nazionalità. Non è una questione di ’noi’ contro ’loro’. Può venire da chiunque. La regola deve essere uguale per tutti: Siena è una città aperta, accogliente, inclusiva, ma non tollera la violenza di nessuno. Chi vive o frequenta questi luoghi deve rispettare le regole comuni di convivenza anche se è una persona che è stata accolta e ospitata. Accogliere gli stranieri è encomiabile ma gli stranieri hanno il dovere di rispettare le regole e le leggi di convivenza civile del luogo dove sono accolte e ospitate. Se vogliono regole diverse dalle nostre, possono tornare dove vigono le loro".
Cosa si può fare per prevenire la violenza? "Bisogna lavorare sul piano educativo e culturale. Parliamo troppo poco ai giovani di rispetto reciproco, di come gestire un conflitto senza arrivare alle mani. Spesso la violenza esplode per futili motivi, alimentata da alcol, disagio o mancanza di prospettive. E’ opportuno continuare a promuovere politiche sociali, iniziative educative, aggregazione sana. Una città che offre alternative e stimoli riduce il terreno fertile su cui cresce la violenza".
Che conseguenze psicologiche hanno episodi di violenza sulla comunità? "Hanno un impatto forte. Oltre alla vittima diretta, tutta la cittadinanza può sentirsi minacciata. Si crea un clima di ansia diffusa, di paura a frequentare spazi che prima erano percepiti come sicuri. È quello che chiamiamo ’trauma collettivo’, la percezione che la città non sia più un luogo protetto. Se non viene affrontato, questo sentimento rischia di alimentare isolamento, diffidenza reciproca, tristezza e rabbia".
Professore, qual è allora il messaggio ai cittadini? "Che non dobbiamo rassegnarci. Siena è una città viva, aperta, sicura. Una città che sa accogliere, ma anche dire che la violenza non è accettata. E che la sicurezza è una responsabilità condivisa: delle istituzioni, forze dell’ordine, ma anche di ciascuno di noi. Solo così possiamo trasformare la paura in forza collettiva".
Paola Tomassoni