MASSIMO BILIORSI
Cronaca

Il Palio, una storia che cambia. Addio al ’mito’ del cavallo, campioni solo per una stagione

Nel secolo già 35 i barberi vittoriosi, 23 per una sola volta. Berio il protagonista con quattro successi

Il momento della mossa del Palio di luglio, vinto da un cavallo alla sua prima volta

Il momento della mossa del Palio di luglio, vinto da un cavallo alla sua prima volta

Se il mito del fantino sarà in qualche modo sempre "indicizzato" dai protagonisti (l’era Aceto, quella di Trecciolino, di Tittia e così via nel futuro), ci siamo persi per strada quello del cavallo. Sì, resta il cavallo inteso come bellezza, come passione nella corsa, ma difficilmente si legherà a un nome, anzi, ne avrà tanti, quasi sempre diversi. L’era del cavallo con nome e cognome non esisterà, in pratica, più di una stagione. Possiamo chiamarla brutalmente "ippicizzazione" del Palio.

Il ricambio è così frenetico per tutta una serie di ragioni su cui possiamo fare poco: la forbice dell’età consentita, la perfetta forma fisica (cavallo atleta), la necessità di non avere un primo cavallo assoluto, l’enorme numero dei pretendenti, il parere dei fantini sul lotto da presentare alla sorte. Le cifre del nuovo secolo parlano chiaro. A quattro vittorie c’è Berio, a tre Fedora Saura, soggetti di inizio duemila. Addirittura con due successi, fra i recenti, Violenta da Clodia e Zio Frac. Già il passato prossimo. E poi una lunga lista con un trionfo, ben 23 cavalli. In totale 35 cavalli vitoriosi negli anni Duemila.

Ci sono altre statistiche che evidenziano questa fine di un mito. Ad esempio i soggetti che sono ritornati nella stessa stalla, in gran parte appartenenti ad altri periodi. Al massimo due volte e i casi più vicini sono Solu Tue Due (Bruco), Porto Alabe (Civetta e Oca), Morosita Prima (Drago e Istrice) e Pathos de Ozieri (Drago), Abbasantesa (Giraffa), Preziosa Penelope (Lupa), Viso d’Angelo (Pantera), Remorex (Tartuca), Polonski (Torre). In questo modo la memoria si modifica ad uso assai diverso del passato. Senza andare ai tempi remoti, possiamo affermare che nel Palio il mito è tramandato (ancora) dalla tradizione orale. Ogni volta che un cavallo si presenta, comincia a dare vita a quelle storie che gli appartengono e che raccontate, si trasformano lentamente. Se le storie non vengono alimentate, inevitabilmente muoiono.

La tendenza al mito è innata nel popolo senese, fa parte della costruzione stessa del Palio. È una sorta di risposta-protesta romantica contro la banalità, contro quella "ippicizzazione" della nostra Festa. Dove il cavallo è solo lo strumento e che non si porta dietro nient’altro che prestazione atletica. I miti sono costruiti affinché l’immaginazione li animi. A noi i cavalli-miti piacevano. Non facevano vivere storie da adulti e non erano storie per bambini. Erano molto meglio e molto altro. Erano e basta.