ROBERTO BALDI
Cronaca

Quando si mordeva la tradizione. La cocomerata, un inno all’estate

Il ferragosto per tanti anni è stato scandito dal taglio dell’anguria: un momento di ritrovo per i pratesi che rimanevano in città. E anche per la comunità cinese. Poi l’invenzione di Corsi: il castagnaccio d’agosto.

Sorrisi e allegria: una foto delle passate edizioni della cocomerata (foto Attalmi)

Sorrisi e allegria: una foto delle passate edizioni della cocomerata (foto Attalmi)

Tutto fa, diceva quello che mingeva in Bisenzio per aumentare il corso dell’acqua. Anche il cocomero, icona dell’estate. Dissetante, depurativo, rinfrescante e diuretico, che racchiudeva l’allegria e la luce dell’agosto, contribuiva a suo modo alla riscoperta della pratesità, una parte non banale della toscanità, che negli ultimi anni si era un po’ abbandonata in una città diventata troppo cosmopolita e troppo distratta per avere il tempo di ritrovarsi insieme. Poi l’abbandono della tradizione per lasciare spazio all’arte. Diventò un ferragosto all’insegna della cultura e della scoperta delle bellezze: Palazzo Pretorio e Palazzo Comunale aprirono anche in orario notturno, dalle 21 alle 24. Ne soffrì la sagra del cocomero, una volta tanto lontani dal rumore delle discoteche, dal non-mondo degli psico-televisivi, dei morti-di-fama come quelli di certi reality show, senza le stramberie della cultura con la puzza sotto il naso degli stenterelli cacadubbi, degli snobisti intellettualoidi che fanno discorsi a correttolo e direbban male di chi li ha fatti.

S’è agito come il prete Pèo, che invece d’andare avanti gli andaa all’indreo, dimenticando le nostre radici. Ora che l’albero del tessile è malconcio, sarebbe giusto rinverdire le tradizioni. A costo di rifarci, guarda un po’, a una peculiarità cinese, considerato che il cocomero fu portato in Europa dalla Cina nel tredicesimo secolo, grazie all’invasione dei Mori. Ma è finita perdinci l’èra in cui si scriveva Prato e si leggeva Pechino. Ci vogliamo bene noi e quelli occhi a mandorla, ma con le nostre tradizioni e con regole uguali per tutti. Non era più la Prato del "telaio gliè come i’ core", come ci si diceva a indicarne l’indissolubilità. La Prato che dava il guadagno anche a quelli che un sapean fare l’ "o" co’ i bicchiere; la Prato di quelli che alla sera ci s’addormentava stanchi e felici, senza bisogno della ninna nanna. La cocomerata ci riscopriva tutti insieme nella tradizione.

S’è inalberato più di tutti l’ottimo Urano Corsi, sportivo e pratese doc (suo un celebre volume "Nonno ci racconti Prato", una dichiarazione d’amore per la città in cui è vissuto in piena piazza Duomo) che ha chiamato a raccolta i concittadini sostituendo al cocomero il castagnaccio con un appello imperioso e goliardico ("Un vi garba? Venite lo stesso" è scritto nel biglietto d’invito) verso il dolce tradizionale toscano, fatto con farina di castagne, acqua, olio extravergine d’oliva, pinoli, uvetta, noci e rosmarino, tipico della stagione autunnale e invernale, tanto per andare controcorrente, da distribuire per ferragosto in piazza del Comune. E dunque, quest’anno castagnaccio sia.

Le ultime manifestazioni del cocomero furono in piazza delle Carceri, meglio conosciuta come piazza Caverni per l’assessore che ne cambiò felicemente i connotati, sotto il maestoso Castello dell’imperatore accanto a piazza San Marco. Dal 2020, con il covid, addio anche alla ‘cocomerata’. Si salva per fortuna col castagnaccio una tradizione che non consiste nel conservare le ceneri, ma nel mantenere viva una fiamma, esaltandone i significati, sotto le mura di Palazzo Pretorio, dove troneggia su piano rialzato il Datini, uno che portò la pratesità nel mondo corroborandola con lo spirito di intrapresa e con l’aderenza a una terra dove si è sempre abbinata la novità alla tradizione, un filo che tiene insieme i cuori delle generazioni passate, presenti e future.