
Massimo Luconi, pratese, è regista teatrale e cinematografico
Una chiamata alla città per ripartire dalla cultura. Luconi, cosa ne pensa? "Un’iniziativa lodevole quella di Diana Toccafondi e Collicelli Cagol, ma deve servire a fare un’analisi vera di quello che è stato fatto. E’ necessario il coraggio di voltare pagina, di cambiare passo. Lo penso e lo auspico da tempo. Tanti schematismi hanno bloccato la città negli ultimi undici anni".
Un giudizio molto critico. "In questi anni il pensiero culturale è mancato in modo clamoroso, l’amministrazione comunale non ha elaborato nessuna filosofia culturale. Non ho visto indirizzi, le principali istituzioni sono andate spesso avanti per conto proprio, divise dai soliti steccati. Bisogna analizzare quello che è stato per cercare di cambiare le cose. Si è visto un investimento culturale disarticolato, fatto di episodi slegati ed effimeri, un rapporto quasi inesistente con i veri bisogni della società pratese, una scarsa attenzione alle periferie, ai fermenti, al cambiamento".
E l’ultimo anno? "La cultura delegata a un organizzatore di eventi, un vuoto clamoroso di pensiero e di programmi, un’assenza di alchimia tra politica e cultura, di cui la disarmante Prato Estate di quest’anno è lo specchio. L’iniziativa di Diana Toccafondi è lodevole, lo ribadisco, ma se si dovesse rivelare una sfilata di buone intenzioni sarebbe inutile. Un’analisi oggettiva, lucida e attenta, non polemica, dell’insufficienza delle politiche culturali degli ultimi undici anni, è imprescindibile per progettare il futuro, dai grandi centri culturali, alle periferie".
I grandi centri culturali. Partiamo dal Metastasio. "La sua involuzione è nota a tutto il teatro italiano, si sono persi i rapporti con il pubblico, con la città, anche a fronte di investimenti di risorse pubbliche così importanti. Ci sono ancora quei tavolini, che hanno rovinato una delle platee più belle del teatro italiano, uno scandalo, fatto forse per diminuire la capienza e ridurre il senso di vuoto di spettatori. Negli anni in cui insieme a Paolo Magelli abbiamo diretto il Metastasio, per gli abbonamenti c’era lista d’attesa, il teatro era sempre pieno e aperto quasi tutti i giorni. Abbiamo portato spettacoli nelle periferie, nei paesi. Mi ricordo la Cantatrice calva di Castri in una pizzeria a Vaiano o Antigone al circolo Arci di Viaccia".
Il Pecci? "Ha una debolezza programmatica evidente. Ha perso la sua centralità in Toscana, e anche a livello nazionale. Ma la situazione del Museo civico è ancora più drammatica: il vuoto assoluto. Non sono riusciti nemmeno a immaginare un bando ad hoc per sostituire la direttrice che tutti sapevano sarebbe andata in pensione. Ma ci sono altri due esempi che mi preme fare".
Il primo? "Officina Giovani, nata con tante idee ed energia ai tempi del sindaco Mattei, è diventata una scatola vuota. Un centro giovanile dovrebbe nvece essere un motore propulsivo, un cantiere di cultura".
Il secondo? "La mancanza di progettualità e di rapporti con le altre culture. A parole sono state dette molte cose in questi anni sull’integrazione e l’apertura al mondo, ma a Prato, che è un laboratorio strepitoso, nei fatti non si è visto niente. Tra le poche eccezioni, di grande lungimiranza, la decisione del Vescovo di ospitare nel chiostro di San Domenico la fine del Ramadan e il Capodanno cinese organizzato da Compost, che la giunta Biffoni ha fatto abortire".
Come vede il futuro, cosa si dovrebbe fare? "E’ chiaro che ci sono esempi virtuosi, come la Camerata, il Politeama, i fermenti per l’arte contemporanea, ma la riflessione più importante riguarda il ruolo dell’ente pubblico. La funzione del sindaco e dell’assessore alla cultura è avere un pensiero culturale, individuare linee di intervento per indirizzare le grandi istituzioni, di cui il Comune è socio di maggioranza. Poi i direttori stabiliscono i programmi. Il Comune non può essere un bancomat. Non solo, dovrebbe avere un ruolo fondamentale di coordinamento e di stimolo. Un’attenzione è mancata anche sulle periferie, per le quali nulla è stato pensato. Sulle periferie l’investimento culturale è fondamentale per non rischiare che si trasformino in dormitori".
C’è anche un problema di risorse. "Ciò che è importante sono le riflessioni profonde da cui scaturiscono le idee e la volontà politica. Esistono i bandi a cui attingere, possono esserci gli investimenti privati. E’ mancata anche un’analisi sul modello di sviluppo economico della città, di cui la cultura può essere motore fondamentale. Abbiamo un esempio proprio accanto a noi: a Pistoia questa lungimiranza c’è stata. Ci sono un festival che è punto di riferimento nazionale, con tutto l’indotto che ne consegue, e un teatro che funziona bene, che produce cultura anche con la rete di teatri satelliti che ha creato".
Crede in un cambiamento? "Da pratese lo auspico fortemente. Per questo l’iniziativa della Fondazione Cassa di risparmio e del Pecci può essere importante, ma serve coraggio. A Prato c’è uno zoccolo duro, che definirei corporativo, da rompere. Ci sono posizioni di privilegio e schemi mentali da superare. E’ indispensabile un’analisi lucida di quello che sono stati questi ultimi anni. Bisogna ritornare a quell’idea di coraggio culturale, che ha caratterizzato Prato in passato, con persone come Roberto Giovannini, Loengrin Landini, Eliana Monarca, e più recentemente al lavoro di Fabrizio Mattei e anche di Roberto Cenni, alla loro visione lungimirante e pragmaticamente utopica dello sviluppo culturale della città. Il cambiamento è possibile se ci sono idee, competenze e visioni, se c’è il coraggio di rompere i vecchi schemi, trovando l’energia per crederci".