Ponsacco (Pisa), 16 giugno 2025 – “I missili passavano sopra di noi”. Il vescovo di San Miniato Giovanni Paccosi, ieri, a Ponsacco – nell’iniziativa di don Armando Zappolini con don Ciotti – ha raccontato ai fedeli in chiesa i momenti difficili della missione in Terra Santa che dovuto lasciare in fretta e furia Gerusalemme dopo l’attacco di Israele all’Iran. Monsignor Paccosi è stato uno dei primi tre vescovi toscani (con lui Paolo Giulietti, arcivescovo di Lucca, e Simone Giusti, vescovo di Livorno), che facevano parte della delegazione della Cet, a poter fare rientro in Italia nel primo pomeriggio di sabato, dopo ore di apprensione.
Eccellenza come sono precipitate le cose?
“E’ arrivato un messaggio sul cellulare alle 3 del mattino di venerdì. Era un alert dello Stato di Israele. Siamo andati a celebrare la messa al Santo Sepolcro e lì, alle 7, abbiamo saputo che c’era stato l’attacco notturno degli aerei israeliani. Polizia ed esercito stavano chiudendo tutto, temevano ritorsioni”.
Poi cos’è successo?
“D’accordo con la nunziatura e il consolato italiano è stato deciso che la cosa migliore era non rimanere in Israele, e che conveniva andare subito ad Amman. Il segretario della Nunziatura e padre Ibrahim Faltas hanno organizzato rapidamente un pullman per il nostro trasferimento in Giordania”.
Ma le difficoltà non erano finite
“Abbiamo passato controlli lunghissimi. Tutto mentre erano in corso gli attacchi. Ho visto anche il missile che non è stato “preso“ dalla contraerea e che poi ho saputo aver colpito Gerusalemme. Quando siamo arrivati l’aeroporto era stato chiuso. Siamo quindi dovuti tornare in albergo finché, dopo un paio d’ore, non ci è arrivata la notizia che lo scalo era stato riaperto e che il volo non era stato cancellato. Così una prima parte della delegazione ha potuto fare rientro”.
La vostra era un visita programmata da tempo?
“Sì, e già rimandata una volta, proprio per il contesto complicato dell’area. Una missione di solidarietà: la nostra preghiera per la pace, e anche un messaggio diretto di vicinanza ai cristiani e per incentivare la ripresa dei pellegrinaggi che è fondamentale: i cristiani vivono di turismo”.
Invece vi siete trovati proprio dentro la guerra?
“Si. Nella disperazione della povera gente. Mentre la politica non riesce a trovare spazi di dialogo che aprano le porte alla pace necessaria e urgente”.
Cos’ha provato in quelle ore?
“Tanto dolore. Tanta amarezza. Con un pensiero forte per quello che sta accadendo a Gaza, in particolare: è qualcosa di inaccettabile, non ha giustificazione. E’ disumano. Come si può accettare la morte di migliaia e migliaia di bambini, anche di fame e di sete”.
C’è ancora un seme di speranza?
“Ci sono e li abbiamo visti. Uno è la scuola di musica della Custodia di Terra Santa con studenti palestinesi, cristiani e musulmani, e insegnanti israeliani. Una piccola cosa, ma importante. Non ci toglie la speranza. Un seme c’è”.