REDAZIONE MASSA CARRARA

"Non rifarei niente". Saviano si mette a nudo e racconta la sua ferita

Più di 3mila persone in piazza Alberica ad ascoltare il giornalista "La scelta fatta a 27 anni mi ha fatto rinunciare all’amore, alle relazioni".

Più di 3mila persone in piazza Alberica ad ascoltare il giornalista "La scelta fatta a 27 anni mi ha fatto rinunciare all’amore, alle relazioni".

Più di 3mila persone in piazza Alberica ad ascoltare il giornalista "La scelta fatta a 27 anni mi ha fatto rinunciare all’amore, alle relazioni".

Lo scrittore che ha fatto della testimonianza il gesto più pericoloso del suo vivere quotidiano. L’uomo sotto protezione da quasi vent’anni che si interroga sulla propria vita e si mette a nudo. Roberto Saviano ha aperto al pubblico di Con-Vivere crepe profonde nella corazza con cui è cresciuto simbolo, tirando fuori il peso della sua solitudine, del senso di colpa, del desiderio di libertà. "Se tornassi indietro non lo rifarei" è stata la frase che ha ghiacciato più di 3mila spettatori che si erano riuniti in piazza Alberica per ascoltare il celebre giornalista che della lotta alle mafie ha fatto la sua bandiera, intervistato da Filippo Lubrano.

Il nuovo libro, ’L’amore mio non muore’ (Einaudi), racconta una storia vera che diventa narrazione forte: Rossella Casini, studentessa fiorentina, innamorata del ragazzo sbagliato, scomparsa nel 1981 in circostanze legate alla ‘ndrangheta. Saviano ha scelto questa storia per parlare anche di sé, del peso delle sue scelte, di quanto il suo impegno letterario e civile finisca spesso per incrociare e sovrapporsi al sacrificio personale. Dal 2006, dopo la pubblicazione di Gomorra, vive con una scorta, una protezione necessaria divenuta quotidianità, ma che ha un costo umano che non sempre traspare.

Convive con il desiderio di poter camminare libero, senza che ogni passo sia a rischio, sotto osservazione. Con il senso di colpa verso le persone che gli sono accanto: "Ho la sensazione di aver sbagliato tutto". Non come rassegnazione, ma come dolorosa constatazione del prezzo altissimo pagato dalla famiglia, dalle relazioni, da ciò che è stato sacrificato. Spesso in una battaglia in cui si è sentito lasciato solo. Eppure, in mezzo alla ferita, c’è qualcosa che non si piega, cioè la convinzione che la parola conti, che raccontare sia un dovere, un’arma, anche quando costa. Saviano sa di essere diventato un’icona, un bersaglio, un punto di riferimento per molti ma anche un oggetto di critica feroce. E la sua vita spesso si confonde con ciò che rappresenta, col peso dell’immagine fissa del "sei simbolo", "sei attaccabile", "sei in classifica" e tutto questo, dice, ti consuma. E così emerge una fragilità inattesa, di chi si chiede se ne sia valsa la pena.

Non si può leggere la sua storia senza sentire da una parte la potenza civile del gesto letterario, del racconto pubblico, dell’impegno; dall’altra la fragilità insopprimibile, la perdita, la solitudine umana. Eppure forse è in questo conflitto che risiede la sua forza, nella capacità di mettere in campo la verità, non solo quella degli altri (della mafia, della corruzione, del potere), ma anche la propria, vulnerabile, e di restare comunque a vedere, a testimoniare. Perché se le parole non cambiano tutto, cambiano qualcosa. E qualcosa, oggi, è già molto.