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Fanini: "Pogacar è un vero e proprio robot. Offro il nome Amore e Vita alla squadra Israel"

Il patron commenta il Tour de France e parla della difficile situazione in Medio Oriente: "Serve un vero segnale di pace"

Il passaggio di Tadej Pogačar davanti all’Arc de Triomphe in occasione dell’ultima tappa del Tour de France

Il passaggio di Tadej Pogačar davanti all’Arc de Triomphe in occasione dell’ultima tappa del Tour de France

LUCCAIl Tour de France 2025 si è concluso da pochi giorni, e Ivano Fanini ha molto da dire sulla corsa più importante del ciclismo mondiale, avendo avuto anche un legame particolare con il Tour di quest’anno. Un legame che va oltre il semplice interesse professionale. "È stato uno spettacolo interessante la Grand Boucle di quest’anno – inizia la sua analisi uno dei più importanti dirigenti del ciclismo contemporaneo – senza però essere fenomenale o particolarmente emozionante, ci tengo a precisarlo. È stato comunque un buon Tour, bello da vedere, ma non con picchi che ti fanno battere il cuore come altre edizioni. La cosa che mi ha colpito maggiormente è stata l’ultima tappa, quella sui Campi Elisi. Wout Van Aert è riuscito a fare qualcosa di incredibile, vincendo in un luogo storico, ma soprattutto staccando Pogacar, che voleva assolutamente vincere con la maglia gialla. Da italiano, però, mi sono maggiormente emozionato per la vittoria della maglia verde, che è tornata in Italia grazie a Jonathan Milan. Un traguardo incredibile, che solo tre ciclisti italiani nella storia sono riusciti a conquistare, e Milan è uno di loro. Non è cosa da poco, un successo straordinario per il ciclismo italiano"."Tuttavia, quest’anno Pogacar è stato davvero incontenibile sotto ogni punto di vista, e purtroppo per Vingegard non c’è stato niente da fare, anche perche Pogacar è un vero e proprio ‘robot’, un ‘Terminator’ del ciclismo. Non lascia mai nulla agli avversari, nemmeno un piccolo ‘regalo’. È una macchina da corsa, e questo, se vogliamo, per uno come me, che proviene da un ciclismo forse più ‘romantico’, un po’ mi toglie il gusto delle sue vittorie. Ma bisogna ammettere che è il migliore di tutti". Ivano Fanini conclude il suo intervento con una valutazione che riguarda la politica e la situazione internazionale: "Mi sento particolarmente vicino al team Israel per molte ragioni. Innanzitutto, voglio sottolineare che il Team Manager, Kjell Carlstrom, l’ho portato proprio io nel mondo del professionismo. Lo scoprii nel 2000 durante una gara in Bulgaria, e dal 2001 al 2004 ha corso con noi, vivendo quattro stagioni bellissime che gli permisero poi di fare il salto alla Liquigas. Tuttavia, la situazione in Israele è davvero tragica, e mi addolora profondamente, poiché è una terra che amo molto. Come praticante cattolico e legato al Santo Padre Giovanni Paolo II, ho avuto il privilegio di visitare Israele numerose volte, per vedere i luoghi legati alla vita di Gesù Cristo. Ma ciò che sta accadendo oggi è devastante e vergognoso. I morti non si contano più, e sembra che non ci sia una via d’uscita pacifica, almeno nel breve periodo, purtroppo. Ho anche un ex atleta israeliano, Niv Libner, con cui io e mio figlio Cristian siamo ancora in contatto. Lui si trova attualmente sotto le bombe, e ci descrive la situazione come apocalittica. Noi, nel nostro piccolo, abbiamo vissuto una situazione simile con la guerra in Ucraina. Avendo un gran numero di atleti ucraini e una licenza in quel paese, decidemmo di fermarci per riprendere più avanti. Successivamente, mi è stata proposta la possibilità di portare nel team uno sponsor russo e uno iraniano, ma ho scelto di non farlo, proprio per la situazione geopolitica in quei paesi, entrambi coinvolti in conflitti. L’UCI, in quel caso, aveva preso una posizione chiara che noi abbiamo sostenuto e rispettato. Ora, non sto dicendo che il team Israel debba smettere di esistere, assolutamente no. Anzi, credo che debbano continuare a correre. Ma mi chiedo se continuare a farlo con il nome “Israel” non stia creando più danni che benefici, soprattutto in un contesto globale così teso. Quindi, se lo desiderano, sono pronto a dar loro il nostro nome, come segno di pace e speranza. Ora più che mai sarebbe un passo in avanti significativo e indelebile, un segno di pace importantissimo per loro, in un momento storico così drammatico".R.L.