
Giulia Cenci, la giovane artista di Cortona. La sua mostra è nel nuovo spazio espositivo Project Space
Firenze, 28 maggio 2025 - Ei fu. Siccome immobile. Perché proprio come il Cinque Maggio di Manzoni, l'arte della toscana Giulia Cenci evoca silenzio e assenza. Di moto, di pensiero, di vita. Figure scheletriche che somigliano a lupi ma richiamano anatomie umane: testa e mani, pensiero e azione, assemblati e ammassati in uno spazio angusto, quasi claustrofobico, che si estende in verticale, ma li schiaccia in orizzontale, condannandoli alla propria fragilità di "enti" vuoti, sospesi tra naturale e artificiale, passato e presente, memoria e oblio.
Non può essere quindi una scelta casuale se il suo progetto site specific che inaugura oggi nel nuovo spazio espositivo di Palazzo Strozzi per talenti emergenti "Project Space" si ispiri proprio ad una poesia di Thomas S. Eliot, "The Hollow men", dove l'umanità, sconvolta dal dramma della Prima Guerra Mondiale, è intrappolata in un limbo inerte tra vita e morte. Ma la parola chiave per Giulia Cenci e la sua ricerca artistica è ibridazione: tra umano e animale, naturalmente, ma anche tra l'eternità della scultura e dell'architettura di Palazzo Strozzi e la transitorietà dei materiali di scarto prelevati dal mondo industriale e trasformati in paesaggi, habitat e figure immaginarie.
Il fragile equilibro raggiunto tra tempo, materia e percezione è messo in scena al centro della sala principale da un imponente assemblaggio di viti di Archimede, lungo le quali si dispongono come in una costellazione di astri forme in alluminio fuso ricavate da ossa di animali e vigneti dismessi: "Quello che volevo comunicare è il forte senso di isolamento dell'uomo contemporaneo - racconta l'artista - Per questo, se originariamente avevo pensato di ricoprire gli scheletri per donargli una fisionomia definitiva, alla fine ho preferito lasciarli così, tenendo aperta la porta a significati e interpretazioni che riguardano la precarietà e la solitudine della nostra esistenza quotidiana".
Il percorso si conclude con una serie di disegni, che esprimono la dimensione più intima della sua ricerca formale: un processo creativo che unisce profondità concettuale e potenza visiva, riconoscibilità e alterazione, sconfinando gerarchie e barriere per raccontare la fragilità della condizione umana.