TERESA SCARCELLA
Cronaca

Pergola, la contromossa. Al lavoro per il ricorso e domanda salva-fondi. In settimana il Cda

La Fondazione Teatro della Toscana deve decidere come agire dopo il declassamento: le due strade non sono incompatibili e potrebbero andare in parallelo. C’è anche l’opzione ricorso al Tar

Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, rispondendo al question time

Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, rispondendo al question time

Firenze, 2 luglio 2025 – Anche se era nell’aria, la retrocessione è stato un duro colpo per il Teatro della Toscana. Superate le reazioni a caldo, ora c’è da (re)agire razionalmente. Come? La Fondazione lo deciderà a giorni, in settimana sarà convocato il Cda per capire la prossima mossa. Sono tre le strade che a questo punto si aprono: l’istanza di revisione contro la decisione di declassamento da teatro nazionale a cittadino, per cui ci sono 15 giorni di tempo dalla pubblicazione del verbale; fare ricorso al Tar o presentare domanda per il settore ’Teatro delle Città di rilevante interesse culturale“ (Tric). Quest’ultima non sarebbe incompatibile con la richiesta di revisione e quindi potrebbe essere intrapresa in parallelo, per coprirsi le spalle in attesa di tornare sull’Olimpo dei teatri. D’altronde è fondamentale per ottenere i finanziamenti del ministero che a questo punto si ridurrebbero del 20%. Complessivamente, la bocciatura costa circa 400mila euro. In ballo c’è poi anche la figura del direttore artistico, non necessaria in questa fascia.

Ma questo è un passaggio successivo, al quale il Teatro della Toscana per il momento non vuole pensare, convinto di aver subito un torto da parte di una commissione, quasi dimezzata, che l’ha giudicato non all’altezza del riconoscimento conquistato dieci anni fa. Il progetto triennale, infatti, non è risultato addirittura “valutabile in termini numerici”: in pratica è stato un ’non classificato’.

È la conclusione cui sono arrivati i tre commissari rimasti, dopo le dimissioni di Grassi, Pastore e Cassani, e il presidente. L’ultimo atto di un percorso tortuoso iniziato mesi prima e ne sono testimoni i verbali delle sedute precedenti: del 7/8 maggio e del 4/5 giugno. Nella prima, in particolare, c’è il materiale più corposo. In quell’occasione sono state rilevate varie criticità e incongruenze, sia a livello artistico che di gestione. Contraddicendo in parte il ministro Giuli, che nei giorni scorsi ha parlato solo di ’problemi di governance’. Sotto la lente dei commissari è finito in primis la figura del direttore artistico, Stefano Massini, e il suo inquadramento contrattuale secondo cui egli “individua insindacabilmente, determina e dispone le linee artistiche” quindi “escludendo ogni rapporto con il direttore generale, in conflitto con lo Statuto della Fondazione e le norme vigenti”. A questo appunto la Fondazione aveva risposto precisando che il contratto andava integrato con dei passaggi che di fatto ridimensionavano i suoi ’poteri’ o comunque li relegavano all’ambito prettamente artistico e culturale. E allo stesso modo ammetteva la necessità di aggiornare lo Statuto, in modo da rafforzare la distinzione tra direzione artistica e direzione generale.

A non andare giù alla commissione, però, c’era anche tutta la parte gestionale. Quindi “l’interruzione dei rapporti artistici e di collaborazione internazionali” o quelli “con istituzioni e soggetti qualificati”, o ancora “l’interruzione della scuola professionale diretta da Pierfrancesco Favino”, troppo cara per le casse della Fondazione, che infatti è rientrata tra i tagli necessari dopo che i soci hanno bocciato il primo bilancio preventivo 2025, quello con un budget da 9,2 milioni presentato a febbraio, (nel verbale della commissione viene tirata dentro anche la questione Giorgetti). Ad aprile, poi, ne è stato approvato uno ridimensionato a 7,5 milioni a colpi di forbici su attività internazionali e nazionali, formazione, personale, consulenze, spazi (con la chiusura estiva) e così via. Ma se da una parte sono stati sanati i conti, dall’altra, dal punto di vista della commissione, si sarebbe aperto un gap “tra il programma inviato e quello approvato”. A nulla sono valse le rassicurazioni della Fondazione, nel sostenere con forza che “tale revisione non incide sulla tenuta complessiva del programma”; nella seduta successiva, i primi di giugno, la commissione ha confermato le sue perplessità, per poi arrivare al verdetto finale: “Altamente generico e lacunoso”.