BARBARA BERTI
Cronaca

L’uomo dietro il campione: "Scelsi la boxe per cercare amici. Ora insegno la ’garra’ agli altri"

Fiorentino doc, nato in Sierra Leone, il pugile sette volte Re europeo dei pesi welter si racconta "Campo di Marte divenne casa mia. A Las Vegas? È stata un’avventura fantastica".

Fiorentino doc, nato in Sierra Leone, il pugile sette volte Re europeo dei pesi welter si racconta "Campo di Marte divenne casa mia. A Las Vegas? È stata un’avventura fantastica".

Fiorentino doc, nato in Sierra Leone, il pugile sette volte Re europeo dei pesi welter si racconta "Campo di Marte divenne casa mia. A Las Vegas? È stata un’avventura fantastica".

‘Bundu Bomaye’, un coro virale che ha segnato la sua carriera costellata di titoli italiani ed europei, un atleta che ha rappresentato Firenze nel mondo della boxe e continua a farlo. Sì, perché da poco è nata la ‘Bundu Boxe’. Nato in Sierra Leone cinquant’anni fa (quasi 51), Leonard Bundu è fiorentino fino all’osso: un legame profondo con le tradizioni – Magnifico Messere al torneo di calcio storico 2012 –, con il cibo (la passioneossessione per la bistecca), e con la città, onorata sul ring in oltre un ventennio di pugni (più dati che ricevuti). Un senso d’identità anche nella ‘c’ aspirata.

Leonard, certi amori fanno dei giri immensi e poi ritornano?

"Di quale amore parliamo (ride, ndr)?"

Quello per Firenze...

"Beh, è così. Da piccolo andavo e venivo dalla Sierra Leone perché mamma Daniela era insegnante di matematica. Ho frequentato le scuole tra Firenze e l’Africa. Poi ho messo radici qui, una parentesi a Cisterna di Latina. E ora eccomi di nuovo nella Culla del Rinascimento: a Firenze mi sento a casa, è la mia città. Da febbraio dell’anno scorso sono tornato a vivere a Campo di Marte con il mio piccolo Leon e sua mamma, Veronica, la mia fantastica compagna. Grazie a lei ho preso in gestione la palestra di via della Loggetta, a trecento metri dall’Esselunga del Gignoro. Lei è la presidente dell’associazione dilettantistica, si occupa di tutte le pratiche amministrative, è un vero pilastro".

Alla ’Bundu Boxe’ si è riformata la coppia allievo-maestro...

"Sì, con Alessandro Boncinelli, mio primo e unico maestro, non ci siamo mai persi di vista. Da tempo mi proponeva quest’idea e appena è capitata l’occasione giusta ci siamo ritrovati. Stavolta, però, insegno anche io! Abbiamo una cinquantina di ragazzi, tanti amatori ma anche una quindicina di giovani agonisti. E tante ragazze. Organizziamo vari corsi e lezioni su più orari, devo conciliare anche gli impegni come collaboratore tecnico della nazionale italiana di pugilato".

Si rivede nei ragazzini che allena?

"In alcuni vedo del potenziale, la voglia di fare, arrivare. Mettersi alla prova. Quella ’garra’ che avevo anch’io. Anche se ho iniziato questo sport solo per cercare nuovi amici".

Ci spiega?

"Avevo sedici anni, da poco ci eravamo trasferiti definitivamente a Firenze, a Campo di Marte. Non conoscevo nessuno, ero un ragazzino molto calmo, non amavo mettermi in mostra. Così mia mamma mi accompagnò alla palestra del quartiere, quella del palazzetto dello sport, il Mandela Forum. Feci così il mio ingresso all’Apf, l’Accademia Pugilistica Fiorentina dove sono rimasto finché non ho smesso di combattere".

Cosa rappresenta per lei la boxe?

"Una filosofia di vita. Il pugilato mi ha formato, fatto crescere e diventare uomo. In palestra s’imparano i valori dello sport: il rispetto per l’avversario e per il maestro, la dedizione, disciplina e costanza nell’allenamento, ovvero il sacrificio. Ma anche l’imparare a porsi sempre nuovi obiettivi, sia fisici che mentali. E poi si fa gruppo e magari la sera si va tutti insieme a mangiare una pizza".

Il pugilato spesso viene percepito come uno sport violento. Lei cosa ne pensa?

"Non è assolutamente vero. In realtà è uno sport di contatto con regole e protezioni che mirano a minimizzare i rischi. Certi falli che si vedono sui campi da calcio sono più ’duri’ e scorretti degli scambi di colpi che ci possono essere sul ring. Ci sono ancora pregiudizi intorno alla boxe: è violento, è per maschi, è per persone aggressive. Tutte bugie, tanto che la palestra è frequentata sia da avvocati, dottori e imprenditori sia da giovani che sognano di salire sul ring".

Il momento più bello della sua carriera?

"Il Mondiale è la massima ambizione di qualsiasi pugile. Ma la mia soddisfazione più grande è stata la vittoria del campionato italiano dei pesi welter, avevo 17 anni. È stato bellissimo anche quando ho indossato la prima cintura europea, il 4 novembre 2011 davanti a tutta Firenze".

E Las Vegas (sconfitto da Keith Thurman nell’assalto al titolo mondiale, ndr)?

"Las Vegas, dove i sogni muoiono all’alba? Un’avventura fantastica, ho ricordi che ancora mi fanno venire la pelle d’oca. Ma c’è anche un piccolo piccolo rimpianto di non esserci arrivato prima o più convinto. A pensarci bene, però, tutta la carriera è stata un’avventura fantastica".