Venezia, 4 settembre 2025 – Il 21 agosto 1968 il muratore Antonio Lo Bianco e la casalinga Barbara Locci, amanti, furono uccisi all’interno di una Alfa Romeo Giulietta bianca in una stradina sterrata di Signa.
All’epoca si parlò di un delitto d’onore commesso dal marito di lei, il manovale sardo Stefano Mele, che risparmiò il loro figlioletto Natalino – lo stesso che lo scorso agosto ha scoperto di non essere il figlio biologico dell’uomo - seduto nel sedile posteriore. Otto colpi sparati da una Beretta calibro 22 con lettera “H” sul fondello del bossolo. La stessa usata dal mostro di Firenze tra il 1974 e il 1985 per i suoi omicidi e che, nel 1982, venne collegata proprio alle aggressioni delle coppie di fidanzati appartate nelle campagne nei dintorni di Firenze grazie alle prove custodite per anni nel fascicolo del caso.
Una corrispondenza che riscrisse il corso delle indagini fatte fino a quel momento dando il via alla cosiddetta “pista sarda”.
È da qui che parte Il Mostro, serie tv in 4 episodi diretta da Stefano Sollima, co-creata insieme a Leonardo Fasoli e presentata in anteprima Fuori Concorso a Venezia 82, che arriverà su Netflix il 22 ottobre. Un ritorno alle origini del caso che ricostruisce una delle inchieste più lunghe e controverse del nostro Paese sul primo serial killer italiano. Diciassette anni di terrore che si sono intrecciati con ipotesi, perizie e sospetti senza aver ancora portato a una verità univoca.
Chi si aspetta una serie incentrata sui processi a Pietro Pacciani e ai “compagni di merende” si troverà, al contrario, a confrontarsi con un lavoro di ricerca e ricostruzione molto più sottile. Un crime basato su procedimenti e indagini ancora in corso e dove di mostri, a dispetto del titolo, ce ne sono parecchi. Tutti uomini che ritengono la donna un loro possedimento di cui fare e disfare a proprio piacimento.
È uno dei punti sottolineati da Sollima grazie alla figura di Barbara Locci – interpretata da Francesca Olia -, usata e abusata dal marito e i suoi amanti in un’Italia di provincia squallida e dove la violenza domestica era la norma.
È attraverso il suo omicidio che la serie racconta, dal loro punto di vista, tutti i possibili sospettati della pista sarda accusati di essere il mostro di Firenze nei procedimenti guidati dal sostituto procuratore Silvia della Monica (Liliana Bottone). Da Stefano Mele interpretato da Marco Bullitta ai fratelli Salvatore e Francesco Vinci con i volti, rispettivamente, di Valentino Mannias e Giacomo Fadda. Non a caso ogni episodio mette in scene una variabile della stessa storia, cambiando dettagli e prospettiva in una sorta di “effetto Rashomon”. Un impianto narrativo che, da un lato, permette di sottolineare come la verità sia manipolabile e, dall’altro, amplifica la sensazione che il mostro (o, chissà, i mostri) che ha terrorizzato Firenze e dintorni per quasi vent’anni potrebbe davvero essere chiunque.
Attento a non spettacolarizzare l’orrore, il regista lo mostra senza addolcirlo o esaltarlo, senza sposare tesi o far pendere il giudizio da una parte piuttosto che dall’altra. Perché in fondo, guardando Il Mostro, si capisce che ognuno dei protagonisti maschili è colpevole. In questo, tra femminicidi e siti intrisi di subcultura incel, la serie riesce a far riflettere anche su come un fatto di cronaca così lontano nel tempo abbia echi nel nostro presente.
Francesco Cappelletti, fiorentino, fondatore del blog sul tema “Insufficienza di prove“, è stato il consulente storico dell’opera di Sollima.
Quella del mostro, per Cappelletti, “è stata una vicenda molto complessa, sono 17 anni che la seguo, difficile distinguere tra elementi oggettivi e le ricostruzioni giornalistiche. Sono stato quindi coinvolto nella sceneggiatura, nella cronologia e la personalità delle persone coinvolte in questa storia. Quando si è trattato di girare la serie televisiva e io ero sul set per restituire la scena del crimine e la dinamica dei delitti”. Il regista ha spiegato che Cappelletti “spiegava cosa era accaduto nella realtà, lo spiegava a tutti gli attori e poi passava la palla a me che decidevo come girare la scena, è stato davvero preziosissimo il suo intervento”.