
La Gioconda esposta agli Uffizi dopo il suo ritrovamento in un hotel di via Panzani a Firenze il 12 dicembre 1913
Era il 21 agosto 1911 quando dal Salon Carré del Louvre scompare la Gioconda di Leonardo da Vinci. Ancora non era il quadro più famoso al mondo. Curiosamente lo diventerà dopo questo furto. Ma la notizia divenne comunque sensazionale, anche perché ci vollero due anni e mezzo per riportarla a Parigi.
Gran parte di quel tempo, mentre tutto il mondo lo cercava, il dipinto pare fosse nascosto sotto un letto dell’hotel Tripoli in via Panzani a Firenze. Chissà. Certamente fu lì che fu trovato il 12 dicembre 1913, insieme al suo trafugatore, Vincenzo Peruggia, mentre cercava di rivenderlo all’antiquario fiorentino Alfredo Geri. Ma il mercante d’arte si presentò in compagnia dell’allora direttore degli Uffizi Giovanni Poggi, che dopo aver stabilito l’autenticità della mitica Gioconda, riuscì a convincere Peruggia a portare il quadro agli Uffizi e da lì, avvisata la gendarmerie, al suo legittimo proprietari: il museo francese.
La storia è sempre rimasta per molti versi misteriosa. A cominciare dal suo ladro, una specie di imbianchino emigrato dalla provincia di Varese che lavorava al Louvre come decoratore. Arrestato raccontò di aver compiuto non un furto ma un gesto patriottico, riportando la gloriosa Gioconda all’Italia. Forse lui non lo sapeva, ma anche all’epoca era ben noto che non vi fosse mai stata ’appropriazione indebita’ da parte di Napoleone o chi per lui. Fu infatti il nostro genio da Vinci a vendere al re di Francia quell’enigmatico ritratto, portato con sé nel 1517, quando accettò l’invito del sovrano Francesco I. Quindi, nessun pagtrio furto. Ma al processo Peruggia fece pena e se la cavò col giusto.
La vicenda torna di attualità ora perché, ricordando l’anniversario della sparizione, è uscito il libro di Silvano Vinceti dal titolo ’La Gioconda svelata’, (Susil Edizioni), che aggiunge documenti inediti alla vicenda del furto e del ritrovamento del quadro. Ipotizza inoltre che quella ritrovata a Firenze, e quindi oggi al Louvre, non sia l’originale ma una bella copia eseguita da Gian Giacomo Caprotti, detto il Salaì, allievo prediletto di Leonardo e notoriamente mascalzone.
E quella buona? "Nel caveau di qualche banca svizzera – sostiene lo studioso –, dove per altro si trovano anche capolavori di Michelangelo, Tiziano e di chissà chi altro, proprietà di miliardari che posseggono straordinari musei. L’insieme degli elementi, insieme ad altre prove non considerate durante il processo, mi fanno dire che il Peruggia, il 21 agosto del 1911 non entrò al Louvre e non rubò la Gioconda. Il furto venne compiuto dall’interno, molto probabilmente dai fratelli Lancellotti, anch’essi originari del varesino. Il padre dei due Lancellotti era maresciallo della Guardia di Finanza. E per salvaguardare il buon nome dei figli, sborsò una discreta somma a Peruggia perché si presentasse a Firenze con il dipinto, s’attribuisse il furto e si facesse arrestare dalle forze dell’ordine. Tra i documenti reperiti negli archivi di stato di Firenze spicca la riproduzione della perizia svolta nel 1913 sull’autenticità del dipinto rubato e ritrovato".
E anche quella lascerebbe a desiderare. Il mistero continua.