
Lamberto Frescobaldi, classe 1963: il ’marchese vignaiolo’ che presiede l’Unione Italiana Vini
di Antonio Passanese
FIRENZE
Lamberto Frescobaldi è un uomo che il vino ce l’ha nel sangue. Discendente di una delle famiglie più antiche e prestigiose della Toscana, ha saputo portare avanti con visione e determinazione una tradizione che affonda le radici nel Rinascimento. Dai colli del Chianti alla Maremma, dalle tenute storiche ai nuovi progetti legati alla sostenibilità, il marchese ha trasformato il nome di famiglia in un simbolo internazionale di eccellenza. Oggi è presidente dell’Unione Italiana Vini, il principale organismo del settore, e guarda con una composta preoccupazione ai dazi del 30% che potrebbero essere imposti dagli Stati Uniti sui prodotti europei: un colpo duro per un comparto che fa dell’export una delle sue forze trainanti: "Ma bisogna rimanere calmi, il panico non serve", dice. Anche se ieri il neo presidente dell’associazione Vini Toscani Dop e Igp, Andrea Rossi, in rappresentanza dunque di 24 Consorzi, ha inviato una lettera ai ministeri italiani, all’Europa e alla regione per denunciare che a causa dei dazi trambpiani la Toscana potrebbe perdere 400 milioni di euro di introiti.
Marchese Frescobaldi, cosa rappresentano i dazi decisi dall’amministrazione Trump per il ’vecchio’ Continente?
"Una battuta d’arresto per tutta l’America. Però niente panico, altrimenti si fa il loro gioco".
Difficile non farsi prendere dal panico, però...
"I dazi al 30% creeranno grossi problemi anche all’economia americana, perché non sono assolutamente sostenibili. Pensi che venerdì scorso a tutti i produttori di vino italiani e alla nostra associazione, l’Uiv, è arrivata una petizione dagli importatori statunitensi in cui si chiede di bloccare questa gabella, altrimenti in molti saranno costretti a tirare giù il bandone, come si dice a Firenze, a chiudere l’attività".
Crede che dietro la decisione del presidente Trump ci sia un disegno, un progetto?
"Bella domanda. A dire la verità non lo sappiamo e ce lo stiamo chiedendo anche noi. Oltretutto ogni prodotto italiano esportato crea più ricchezza per gli imprenditori Usa che per noi".
Cioè?
"Le faccio un esempio pratico: ogni dollaro speso comprando merce importata, solo un euro resta in Europa, mentre negli Stati Uniti genera almeno 4,53 dollari. Quindi il guadagno viene generato lì".
Restando nel campo del vino, come funziona?
"Una bottiglia che in un supermercato italiano il consumatore paga 5 euro, in America viene venduta a 15 o a 20 dollari e in un ristorante puà arrivare fino a 45 o a 50. Questo fa capire che i dazi, così come sono stati ideati, non servono a nulla se non a creare seri problemi all’economia d’Oltroceano che potrebbe andare in recessione".
In ogni caso, gli Usa restano un mercato fondamentale, spesso il primo, per tante aziende vitivinicole (e non solo) italiane.
"Questo è fuori dubbio".
E allora lei cosa consiglia ai suoi colleghi vignaioli?
"Ciò che noi facciamo nella nostra azienda".
Ce lo spieghi.
"Bisogna diversificare i mercati per non trovarsi in crisi. Delle 10 milioni di bottiglie che produciamo ogni anno alla Frescobaldi solo il 15% viene esportato negli Usa. Non bisogna sbilanciarsi su un solo Paese perché se accade l’imponderabile si chiude bottega".
Insomma, secondo lei bisognerebbe ’suddividere’ il rischio?
"Esattamente. Non bisogna affidarsi a un solo mercato ma guardare al mondo per avere anche altri sbocchi. E poi bisogna conoscere per bene la propria azienda per capire, nei momenti di crisi, nei periodi difficili, dove andare a fare risparmi".
In ultimo presidente Frascobaldi, quale altro consiglio si sente di dare ai suoi colleghi?
"Il compito principe di un imprenditore è salvaguardare i propri lavoratori, per questo insisto sulla diversificazione".