
L’ex difensore viola: "L’operazione a 22 anni, ma nonostante i trofei niente fu più come prima. Lo scontro con Vittorio Cecchi Gori? Mai chiariti, ma vorrei incontrarlo. E quella volta con Baggio...".
Per tutti ’Stefanino’ il biondo. Sempre di corsa, generoso, attaccato alla maglia viola come pochi altri. Tanto da scendere in campo anche con un rene compromesso. Stefano Carobbi, oggi 61 anni, è rimasto tale e quale: che sia per aiutare la squadra o sostenere chi ha più bisogno, non si è mai tirato indietro. Carobbi, riavvolgiamo il nastro. Arrivò a Firenze che era poco più che bambino...
"Avevo 13 anni, venivo da Pistoia insieme ad altri due ragazzini. Al primo allenamento ci accompagnò il nostro allenatore dell’epoca, Brunero Tuci. Ci disse: “Siete sicuri di voler entrare? Perché a me non interessa, se volete torniamo indietro“. Ma io non tentennai: “Non ti preoccupare, saprò cavarmela“".
E così iniziò la sua avventura in viola. "Facevo Pistoia-Firenze in treno quasi ogni giorno. Il babbo mi veniva a prendere a scuola in motorino perché lui non ha mai guidato l’auto, poi di corsa verso la stazione per prendere il treno delle 13.05. Arrivavo in stazione e poi salivo sul pullman, direzione campi di allenamento".
Sacrifici che poi l’hanno portata a giocare con i più grandi campioni dell’epoca. Ma partiamo da Baggio: com’era nello spogliatoio? "Un amicone, sempre col sorriso sulle labbra. In ritiro alla Certosa eravamo compagni di stanza, una volta rientrai in camera e sentii come dei lamenti provenire dal bagno. Gli chiesi preoccupato: “Roberto stai bene?“. Silenzio. Dopo un bel po’ uscì e mi spiegò che stava pregando e non poteva deconcentrarsi. Un gigante".
Lui e poi tutti gli altri? "Al suo livello ci metto Van Basten. E anche Antognoni e Passarella che mi hanno dato davvero tanto".
Il momento più buio? "Quando mi operarono al rene. Avevo 22 anni, all’epoca girava voce che avessi un tumore. La società e il procuratore invitarono la stampa a non scrivere niente".
E fu così? "Qualche notizia uscì, i miei genitori in quei giorni non mi comprarono i giornali, s’inventarono che c’era sciopero per non farmi stare male. In realtà avevo un’ostruzione nel punto di passaggio tra una parte del rene e l’uretere".
Come se ne accorse? "Presi una bella botta al costato in allenamento. Pochi giorni dopo durante la partita contro il Torino, Junior mi diede un’altra botta, nello stesso punto".
Ahia. "All’intervallo urinai di colore rosso. Ma non dissi nulla e tornai in campo. A fine partita mi confrontai con il dottore e mi fecero fare subito le analisi".
E così si è dovuto operare... "Avevo la corticale del rene come una buccia di cipolla. Davanti alla sala operatoria il medico mi disse: “Hai il 50% di possibilità di tornare a giocare“".
E lei è tornato. "Sì, con una cicatrice di 45 centimetri. La prima volta che la vidi ebbi uno svenimento. Per operarmi dovettero togliermi anche 10 centimetri di costola. Ricordo che mia mamma se la fece dare e la tenne in casa da qualche parte. Ma ancora non l’ho ritrovata...".
Come fu il rientro? "Dimagrì 11 chili, trascorsi molto tempo con il catetere a Villa Donatello e poi in un albergo a Cutigliano per riprendere peso. Tornai in campo dopo 6-7 mesi".
E poi ha fatto il pieno di trofei. "Fino all’86’ sono stato un vero giocatore, dopo mi sentivo meno veloce, meno potente. Prima dell’operazione a volte facevo passare gli avversari davanti perché ero sicuro di riprenderli in velocità. Quando rientrai con un rene al 28% mi accorsi subito che non ero più lo stesso. Sono orgoglioso di quello che ho fatto nella mia carriera, ma con il rene integro forse avrei potuto fare ancora di più".
Perché lasciò la Fiorentina? "Non volevo andarmene. E soprattutto non l’ho fatto per soldi perché a Milano, premi a parte, avrei guadagnato meno. Solo che a Firenze nell’89 non giocavo, così nel sottopassaggio dello stadio durante Napoli-Fiorentina mi misi d’accordo con il ds Marino per giocare nella squadra di Maradona".
Ma Sacchi si mise di traverso. "Mi chiamò verso mezzanotte. Gli dissi che avevo già l’accordo col Napoli ma lui non volle sentire discorsi. Aveva visto Tassotti un po’ in calo e aveva bisogno di un sostituto".
Seguirono stagioni trionfali... "Sì ma alla fine Tassotti non era affatto in calo, a sinistra c’era Maldini e io ebbi poco spazio. Una sera, solo a casa, mi fermo di fronte alla mia foto con la maglia viola, quella con lo sponsor Crodino, e scoppio a piangere. Andai da Galliani e gli dissi: “Il mio posto è a Firenze“".
Nella stagione 92-93 lei è capitano, arriva Baiano, Bati fa 16 gol. Partite fortissimo, poi la squadra crolla e arriva la retrocessione. Come se lo spiega? "Annata maledetta. Ci furono tante componenti: la squadra era forte finché Radice l’ha tenuta in pugno. L’allontanamento del mister fu ingiusto, per me questo ha innescato la retrocessione. Da quel momento i miei rapporti con Vittorio Cecchi Gori andarono a farsi benedire, iniziai a giocare di meno. In panchina arrivò Agroppi che mi voleva bene e mi confessò che se mi metteva in campo era oggetto di ostracismo pure lui...".
Con Cecchi Gori non si è mai chiarito? "No e mi dispiace. Il rapporto che avevo con suo babbo Mario era speciale. Mi piacerebbe rincontrare Vittorio per un caffè e spiegargli un po’ di cose...".
Ad esempio? "In tanti lo prendevano in giro, in pochi gli dicevano le cose come stavano davvero. La rottura ci fu quando mi voleva mandare a giocare al Siena, ma io volevo tornare a Pistoia, era una promessa che avevo fatto a mio babbo. Finì che andai al Lecce e poi al Poggibonsi...".
Oggi guarda il calcio in tv? "Solo le partite della Fiorentina. È un mondo che non mi rispecchia più. Per valori tecnici e anche morali non c’è paragone".
A cosa si riferisce? "Un tempo andavamo almeno una volta al mese nei viola club, il rapporto coi tifosi era molto più stretto. Oggi è diverso: ho una fondazione dove metto all’asta maglie da calcio per aiutare i bambini in difficoltà ma dai giocatori si fa fatica ad avere pure un autografo su una maglietta...".
Si è battuto per un calcio senza distinzioni tra uomini e donne. Ma quanto davvero si sono ridotte le differenze? "Poco o niente. Anni fa a Firenze provai anche a lanciare la prima scuola calcio per maschi e femmine insieme. Ma il movimento femminile avrebbe bisogno di una spinta, un investimento serio, così non è supportato".