MARCO VICHI
Cronaca

Fiore guardava e stava in silenzio. Il carcere insegna a non reagire mai

Burro e parmigiano I secondini si accanivano contro Gino con una violenza inaudita

Burro e parmigiano I secondini si accanivano contro Gino con una violenza inaudita

Burro e parmigiano I secondini si accanivano contro Gino con una violenza inaudita

Vichi

Quel profumo non lo sentiva da un sacco di tempo, e la bocca gli si era riempita di saliva. L’unica nota triste era il piatto di cartone e la forchetta di plastica, ma andava bene lo stesso. Si era seduto comodo sul bordo del letto e aveva cominciato a far girare la forchetta. Si era fermato perché aveva sentito dei passi nel corridoio, e pochi secondi dopo aveva visto apparire sulla soglia il secondino grasso. Bobo. “Guarda guarda” aveva detto il secondino. “Ho fatto un po’ di pasta” aveva detto Fiore, preoccupato per quella visita. Il secondino era entrato nella cella e aveva preso il piatto dalle mani del detenuto. Aveva annusato gli spaghetti a lungo, con un sorriso ispirato, e poi... poi era successa quella cosa. Era stato molto brutto, un po’ come avere una bella donna fra le braccia e prima di baciarla trovarsi in mano il cuscino. Una cosa che fra l’altro gli succedeva spesso... A un tratto sentì dei passi in corridoio e si svegliò dai suoi pensieri. D’istinto si alzò in piedi. In cella entrò Gino, a torso nudo e con la maglietta in mano, tutta bagnata di sudore. Aveva il fiatone. Quando giocava a calcio dava il massimo, e sudava come un porco. Si lasciò andare sul letto, faccia al soffitto, e chiuse gli occhi. “Sono morto, cazzo” disse. Era arrivato da poco. Rapina a mano armata e tentato omicidio. Sarebbe uscito nel 2026. Fiore lo guardava con una certa invidia. Aveva un bel fisico, Gino. Non aveva ancora trent’anni. Forse un po’ troppi tatuaggi. A parte questo, Fiore avrebbe dato una mano per essere come lui.

Con quelle braccia avrebbe potuto difendersi meglio. In carcere i rapporti umani erano molto semplici ma anche molto complicati. Ci si sopportava senza lamentarsi troppo, ma i confini proibiti erano segnati con precisione, anche se nessuno li aveva mai scritti. La sensazione era quella di avere con gli altri una grande vicinanza e nello stesso tempo una lontananza incolmabile. C’erano equilibri fragili che era meglio non stuzzicare. Si andava avanti annusando l’aria, e l’unica legge che contava era quella naturale, quella del più forte. Il resto non valeva nulla. Fiore parlava poco e si faceva gli affari suoi, ma ogni tanto finiva lo stesso in mezzo a qualche casino, e ne buscava. A un tratto il corridoio si riempì di passi affrettati, e un attimo dopo nella cella entrarono quattro secondini con i manganelli in mano. Gino alzò la testa e capì subito che cercavano lui. Fece appena in tempo a rannicchiarsi contro il muro, e fu investito da un camion di manganelli e da una bella dose di parole dolci. “Brutto frocio, t’insegno io a giocare a calcio.” Sulla pelle nuda di Gino i colpi facevano un rumore sordo, come mele che cadono sopra un pavimento di legno. “La prossima volta ti faccioo del male sul serio. Figlio di troia...” Gino non faceva nemmeno un lamento, e questo disturbava i secondini. “Faccia di m...” “Testa di c....” Fiore guardò tutta la scena senza fiatare, immobile nel suo angolo. Aveva imparato presto che in occasioni del genere era meglio starsene zitti. Una sola parola e i manganelli si sarebbero occupati anche di lui.

Non si poteva fare altro che guardare in silenzio. I secondini finirono di faticare e se ne andarono senza voltarsi. Gino rimase qualche secondo immobile, poi si rimise nella posizione di prima e guardò Fiore negli occhi. “Mi hanno detto che esci fra una settimana” disse. “L’ho saputo poco fa... tu come fai a saperlo?” chiese Fiore, un po’ stupito ma non tanto. “So sempre quello che voglio sapere.” “Ti va un caffè?” “Sì, grazie. Quando esci me lo fai un favore?” “Se posso” disse Fiore, svitando la caffettiera. Gino cercò di alzarsi, ma si bloccò con una smorfia di dolore e si rimise giù. “Dovresti dire a un amico che la cosa che cerca è in un certo posto” disse. Fiore vuotò la caffettiera e la sciacquò dentro una bacinella di acqua torbida. “Dove abita il tuo amico?” disse. “È in libertà vigilata a Santa Maria a Monte, da sua sorella. Sai dov’è Santa Maria a Monte?” “Certo. Ma in cambio vorrei una cosa” disse Fiore, riempiendo la caffettiera. “Cosa?” “Il nome e l’indirizzo di un secondino che è stato trasferito sei anni fa.” “Minchia, e come faccio?” disse Gino.

5-continua