
Lo storico legame fra Londra e la Toscana va avanti da oltre un secolo, fra oggetti e stili forti ancora oggi
Luca Scarlini
Per scoprire dove fossero le migliori botteghe di oggetti inglesi, in tutti gli ambiti della vita, bisognava consultare le riviste degli stranieri, che davano informazioni dettagliatissime: The Tuscan Athanaeum, diretto da Theodosia Garrow Trollope nel biennio 1848-1849, con un chiaro sostegno alla causa dell’unità d’Italia o The Florence Gazette, che Helen Zimmern diresse dal 1890 al 1915.
Di usi e costumi di una comunità ampia e diversificata parla il classico libro di Giuliana Artom Treves, Anglo-fiorentini di cento anni fa, uscito da Sansoni nel 1953, in cui si narrano episodi legati ai residenti maggiori, a Firenze, ma anche in altri luoghi fortemente legati alla memoria britannica in Toscana, come Bagni di Lucca. Da poco hanno riaperto gli eleganti Bagni Bernabò, in marmo, dove affluivano signore ammalate di vari morbi che con le acque benefiche potevano trovare cura. Qui era attiva Ouida, spesso vestita in abiti maschili, autrice di celebri romanzi storici, oggi dimenticati, che nella sua casa al Ponte al Serraglio aveva creato un rifugio per gli animali. I cataloghi dei maggiori shop offrivano un intero catalogo di abiti e accessori, che andavano incontro a ogni necessità quotidiana.
Data la pratica della musica in casa, quando furoreggiava il valzer My Florence di Deiro & Dante, era possibile avere porta spartiti e leggii per ogni organizzazione. Ogni dama che si rispettasse (vedi l’esempio della regina Vittoria) si dedicava all’acquarello, e quindi da ciò nasceva un ampio commercio di ombrelli parasole e seggiolini, detti appunto Victoria, con tela a righe.
Anche i cani avevano diritto a ciotole customizzate e a trasportini di forma neogotica (come ben illustra un libro di Oreste Del Buono, Gherardo Frassa e Luigi Settembrini, Gli anglofiorentini: una storia d’amore, uscito nel 1987). Il cane di riferimento era il cocker spaniel, come ben spiegava l’incantevole epopea di Flush, opera di Virginia Woolf, che aveva come protagonista il migliore amico della celebrata coppia Elisabeth Barrett & Robert Browning.
Furoreggiava il golf (con tutti gli abiti connessi alla pratica): l’alta società si cimentava con il golf all’Ugolino, inaugurato nel 1899 e ricostruito in pompa magna nel 1909. Malgrado la passione per Firenze e la Toscana, continui erano gli avvertimenti del rischio di scippi, da cui nascevano prodotti di pelletteria, borsellini da mettere sotto le impenetrabili gonne e cinture porta-soldi.
I capi che soprattutto andavano a ruba erano i trench. Essi davano origine nel vernacolo a invenzioni memorabili, in specie per quello che riguardava i divi di Hollywood, per cui Spencer Tracy, impronunciabile Oltrarno tra le due guerre, diventava appunto Spezza Trenci. Grande fortuna ebbe un negozio di Impermeabili inglesi in via del Corso, dove si andavano a acquistare tutti gli accessori per un perfetto look.
A Firenze erano diffuse pubblicità di marche ancora in commercio oggi, come Aquascutum, Burberrys, Dunhill. Non si contavano poi i negozi che fornivano pantaloni e giacche di tweed, cravatte regimental, con i colori dei più noti college e reggimenti. Un mondo di negozi che ha retto fino agli anni ‘90 per poi sparire nei decenni seguenti. Negli anni ’80 era in evidenza come punto di riferimento per la comunità gotica Ultra in via XXVII aprile (il negozio esiste ancora, altrove, con diversi capi).
Un riferimento forte al mondo britannico era nelle creazioni di Albion, al secolo Domenico Pultrone, che nel negozio di via Nazionale rendeva omaggio, nel nome e nei simboli, a quel legame con Londra, che è capitale nelle vicende fiorentine dall’Ottocento a oggi.