
La storia e l’eredità di Gianna: gli anni a Firenze raccontando magistralmente di sartorie d’epoca
Luca
Scarlini
Gianna Manzini da Pistoia (1896-1974, nella foto) quando giunse a Firenze era in fuga dalla natìa città, dove il padre era stato portato a morte dai fascisti, per la sua fede anarchica, come racconta nel suo magnifico romanzo Ritratto in piedi (1971), per cui vinse il Premio Campiello, in cui nell’età matura
racconta una infanzia amareggiata dalle urla dello zio fascista,
che odiava il cognato e che aveva offerto una triste ospitalità alla sorella e alla figlia, costrette ad abbandonare il loro congiunto. Arrivata a Firenze per compiere gli studi universitari, da subito capì che la sua via sarebbe stata la narrativa, in una personalissima mistura di prosa e poesia, che la segnalò una identità singolare, e assai seguita dai critici.
Nel 1922 esordì su La Nazione come narratrice con una prosa dal titolo Marzo, che trovò poi la via per la prima raccolta dei suoi racconti Incontro col falco, uscita nel 1929, in cui raccontava di fatti della natura e dei desideri d’amore, come nelle pagine della prosa che pubblicò per i buoni auspici del marito, Bruno Fallaci, zio di Oriana, e a lungo responsabile delle pagine culturali del giornale.
Come le sue amiche intellettuali, Anna Banti, Maria Bellonci, Alba De Cespedes, Paola Masino, con cui aveva legami, talvolta pungenti, di amicizia e lavoro, Gianna Manzini aveva una passione per la moda, che seguiva e di cui si occupava, inserendo spesso nei suoi racconti una dimensione esplicita di analisi del costume, che passava anche dall’abito.
Dagli anni ’30 si spostò da Firenze a Roma, dove dimorava insieme al suo consorte, il critico Enrico Falqui, in una casa-biblioteca in cui i gatti scorazzavano tra i libri. Nel 1946 assunse il ruolo di cronista di moda per l’importante rivista “La Fiera Letteraria”, con lo pseudonimo di Vanessa, che rimandava tanto alla magnifica farfalla, che alla sorella della amata Virginia Woolf. Quel tempo di fervore alla fine del conflitto, era propenso alle riviste, che spesso nascevano e
morivano, oppure non arrivavano in porto. Di moda si parlava
nel progetto di “Mercurio” di Paola Masino, di breve durata, come in “Prosa” diretto da Gianna Manzini tra il 1945 e il 1946.
I testi sono stati raccolti da Nicoletta Campanella nel 2003 in una edizione per Sellerio, che per la prima volta ha offerto ai lettori la possibilità di leggere queste pagine perdute nella rivista.
Firenze è sempre presente, in primo luogo con numerose note acute sulle principali attività di produzione negli accessori, tra pizzi, guanti e scarpe, raccontando magistralmente di sartorie dimenticate nel tempo, che erano punto di riferimento per le eleganti della città, come Germana Marucelli, che aveva radicate passioni letterarie e proponeva concorsi di poesia, e Cesare Guidi, che fu a Firenze dal dopoguerra, con sede a Palazzo Spini Ferroni, vicino a Ferragamo dagli anni ’40, dopo un soggiorno parigino in cui aveva frequentato Christian Dior.
Nelle parole dell’autrice tutti questi scritti erano stati elaborati, non solo per necessità alimentare, ma con il gusto di esibire una “penna da pittrice”, ossia con la massima attenzione agli elementi dell’atmosfera e alla risonanza psicologica dell’abito, nella vita contemporanea, parlando della donna, talvolta con ironia, e talaltra segnalando
chiaramente le chiusure di una società maschile ancora largamente ostile all’emancipazione. Gianna Manzini seguì da vicino la creazione delle sfilate alla Sala Bianca e segnalò per tempo i giovani talenti, da Emilio Pucci a Karl Lagerfeld, dando conto anche dei nomi che erano già emersi nei decenni precedenti, come Schubert, che vestiva di paillettes e rasi luccicanti, le star della rivista come Wanda Osiris.