
Orson Welles è il protagonista della nuova retrospettiva del lunedì al Cinema La Compagnia
Firenze, 1 settembre 2025 - "Poeta e cercatore, profeta e predicatore. E' una contraddizione, parte verità, parte finzione". La citazione è pertinente, perché nella splendida "Il Pellegrino, Capitolo 33" il poeta randagio del country americano, Kris Kristofferson, racconta la storia di un uomo che ha vissuto un'esistenza piena di alti e bassi, successi e fallimenti, inganni e sogni incompiuti; ma continuando a cambiare, nella mancata consapevolezza se le sue convinzioni siano state una benedizione o una maledizione.
F for fake. Tutto e niente. Inizia e finisce così la carriera di uno dei più controversi e straordinari interpreti del cinema mondiale: George Orson Welles, protagonista dal 15 settembre della nuova rassegna monografica al Cinema La Compagnia. Nato nel 1915 in Wisconsin, terra di formaggi e birrifici, da una famiglia facoltosa quanto poco convenzionale che lo avviò sin dall'infanzia alla passione per il teatro, debuttò per la prima volta a Broadway già nel 1934, interpretando il ruolo di Tibaldo in Romeo e Giulietta; ma curiosamente la sua fortuna si deve allo spettacolo radiofonico per la CBS "The War of the Worlds", ispirato al romanzo di fantascienza di H.G.Wells: andato in onda il 30 ottobre 1938, scatenò il panico tra gli ascoltatori, convinti che la Terra stesse davvero subendo un attacco da una flotta di astronavi aliene.
Scritturato dalla RKO Pictures con piena libertà artistica, Welles diede vita nel 1941 al "film dei film", come lo definì François Truffaut; "Citizen Kane" - tradotto in italiano "Quarto Potere" - ricostruisce attraverso l'inchiesta del giornalista Thompson la vita di un magnate dell'informazione, dell'arte e della politica ispirato liberamente alla figura del miliardario William Randolph Hearst: l'inizio spiazzante - con la morte del protagonista e il mistero legato alla parola "Rosebud" - la struttura multiprospettica e l'uso continuo dei flashback, i piani sequenza e la profondità di campo grandangolare del direttore della fotografia Gregg Toland fino alla beffarda panoramica finale, ne fanno ancora oggi il più grande capolavoro mai realizzato.
Ma, si sa, la rivoluzione non è un pranzo di gala, e il film faticò a essere distribuito nelle sale per la feroce opposizione dei periodici dello stesso Hearst, così il regista ripiegò nel successivo "L'orgoglio degli Amberson" (1942) verso un dramma in costume più sobrio e tradizionale, tratto dal romanzo premio Pulitzer di Booth Tarkington: tagliato di cinquanta minuti e cambiato nel finale dalla casa di produzione, fu il primo di una triade di fallimenti commerciali - gli altri furono il bellico "Terrore sul Mar Nero" e il documentario "It's all true" - tanto da spingere Welles sempre più lontano da Hollywood. Il thriller "Lo straniero", l'adattamento del "Macbeth" di Shakespeare e il noir "La signora di Shangai" - con la moglie Rita Hayworth scandalosamente bionda e la celeberrima scena finale degli specchi - furono gli ultimi film girati in America prima di partire per l'Europa nel 1949.
Nel Vecchio Continente, portò in scena anche l' "Otello", vincendo la Palma d'Oro a Cannes nel 1952, e diede vita a due dei suoi personaggi più memorabili: il bieco e ignobile trafficante di medicinali Harry Lime, protagonista de "Il terzo uomo" di Carol Reed, e Mr Gregory Arkadin, il potente arricchito che cerca di disfarsi di chiunque scopra i segreti della sua fortuna finanziaria. Dopo "Rapporto confidenziale", nel 1957 Welles rientra in patria, dove la Universal Pictures gli commissiona uno dei suoi ritratti più memorabili: "L'infernale Quinlan", con Charlton Heston, Janet Leigh e Marlene Dietrich, è segnato dall'imponente figura del capitano di polizia Hank, nobile e amorale, cinico e sentimentale, ironico e dolente, proprio come il suo autore.
Tornato in Europa, coronò il suo antico sogno di dirigere e interpretare "Falstaff" (1965), gran bugiardo e bevitore rinnegato dal principe Hal divenuto Enrico V, ed ebbe il tempo di dipingere un altro antieroe onnipotente quanto votato alla solitudine come Mr Clay, il ricco mercante di "Storia immortale" (1968). Bizzarro e indipendente fino alla fine, fu insignito nel 1971 di un Oscar alla carriera che non andò a ricevere - "non mi avrete mai!", esclamò - lasciò qualche progetto incompiuto - dal "Don Chisciotte" al ritrovato "L'altra faccia del vento" - e nel documentario "F for Fake" (1973) confessò che l'arte era solo un illusorio inganno, e lui "un poveraccio che cerca di fare cinema". Guardando la sua eredità, resta difficile credergli anche stavolta.