FEDERICO
Cronaca

Il Buratto del 1605 alla conquista di Pisa. La sfida in trasferta alla corte dei Medici

Ferdinando I volle esaltare i cavalieri aretini su consiglio del colonnello mecenate Ottaviani per le nozze di Enea Piccolomini

Ferdinando I volle esaltare i cavalieri aretini su consiglio del colonnello mecenate Ottaviani per le nozze di Enea Piccolomini

Ferdinando I volle esaltare i cavalieri aretini su consiglio del colonnello mecenate Ottaviani per le nozze di Enea Piccolomini

D’Ascoli

La Giostra del Saracino, vanto quasi secolare della città, si arricchisce di un precedente storico che arriva addirittura prima dell’edizione del 1677 che ispira gli attuali regolamenti.

Una ricerca condotta da Riccardo Pichi ha riportato alla luce una pubblicazione pisana del 1606 su una Giostra del 1605 che anticipa di oltre settant’anni la più antica testimonianza nota del "Buratto Re dell’Indie", confermandone l’identità aretina e descrivendo dettagliatamente le sue caratteristiche. Il ritrovamento non solo riscrive le origini della Giostra, ma ne rafforza il radicamento nella storia cavalleresca toscana.

La storia della sfida al Buratto non segue un percorso lineare: fino all’età moderna, le giostre erano eventi irregolari, celebrati in contesti specifici, spesso poco documentati. Le fonti precedenti erano frammentarie, con riferimenti indiretti e descrizioni rivolte più a un pubblico esterno che agli stessi aretini. Il primo documento certo su una "Giostra ad Burattum" è un atto comunale del 1535. Già allora la naturalezza con cui veniva indetta suggerisce che la pratica fosse consolidata.

Più avanti, nel 1612, lo storiografo Lambardi descrive un fantoccio "famoso Buratto con aspetto tremendo", armato di flagello e dotato di scudo, in grado di percuotere i cavalieri meno abili. Solo nel 1674 appare ufficialmente il titolo di Re dell’Indie, in un manifesto che già eleva il Buratto da semplice nemico a nobile dignitario, simbolo cavalleresco di pari rango con i contendenti. Nel 1677, il libretto “All’insegna del sole” descrive dettagliatamente la Giostra, confermandone la pericolosità, la lunga consuetudine e l’identità aretina. Vi si legge che era "di antica osservanza", ma se ne era ormai persa la memoria delle origini. Fino ad oggi, questo era considerato il documento più completo sull’evento.

Il ritrovamento pisano del 1606 porta indietro di 70 anni le evidenze certe e arricchendole di dettagli finora sconosciuti. Il documento è intitolato: "Relazione delle giostre rappresentate per ordine di Madama Serenissima di Toscana nelle nozze di Enea Piccolomini e Caterina Adimari questo carnevale in Pisa, l’anno 1605".

In 42 pagine, l’autore Alberto Mureti descrive diversi eventi del 1605, tra cui la "prima Giostra dell’Indiano Buratto" e la "Giostra del Saracino armato". Storicamente verificato e conservato alla Biblioteca Nazionale di Firenze, il testo certifica la presenza del Buratto Re delle Indie nel 1605, con un livello di dettaglio sorprendente: armi, pesi, altezze del simulacro, scudo numerato, mazzafrusto e regole di gara.

La Giostra fu voluta da Ferdinando I de’ Medici per celebrare le nozze citate. A proporla fu il colonnello mecenate Ottaviani, aretino, che offrì la Giostra del Buratto come spettacolo di “vera immagine di guerra, non più veduta in Pisa né usitata per l’Italia, se non nell’antica città d’Arezzo”. L’accoglienza fu entusiasta, e l’evento si rivelò uno dei più originali e spettacolari del carnevale toscano.

Affascinante è la descrizione della marcia notturna dell’araldo del Re delle Indie, avvenuta il 2 febbraio “a due hore di notte”: una sfilata con 70 figuranti tra cavalieri, torce e arredi esotici, che anticipa spettacoli simili visti nella Giostra del 1677. L’araldo, con pompa e solennità, guidava un corteo in cui spiccavano i colori rosso e turchese, turbanti decorati, cuoi arabescati, faretre, scimitarre e archi orientali. I volti dei partecipanti erano dipinti “alla moresca”, secondo la moda teatrale dell’epoca, e la suggestione generale era quella di un vero esercito straniero in missione d’onore.

Il documento riporta anche i “capitoli regolamentari della Giostra”, i più antichi noti: punteggi da 1 a 4, la presenza della “barella derisoria”, la suddivisione numerata della targa, il linguaggio solenne delle disfide. Tutto combacia con quanto descritto decenni dopo, suggerendo una tradizione consolidata già a inizio Seicento e confermando che la Giostra possedeva già allora una piena maturità strutturale e simbolica.

Due testi di eccezionale valore sono le “Disfide del Re dell’Indie”: una recitata davanti alla corte medicea, l’altra diffusa in città tramite manifesto. In esse si racconta del Re guerriero che, attratto dalla fama di Arezzo, giunge per sfidarne i cavalieri. Ma, riconoscendone il valore, propone una tregua onorevole. Questo non solo eleva il ruolo di Arezzo, ma le attribuisce una mitologia propria, legata alla fondazione da parte della ninfa Aretia, compagna del dio Giano. La leggenda della ninfa fondatrice e il mito del Re delle Indie si intrecciano così in una narrazione epica che consacra la città come fucina di valore e patria di invincibili campioni.

La Giostra del Saracino diventa così un atto simbolico di rappresentanza della città, organizzato da un aretino, con aretini, per raccontare Arezzo al mondo. La presenza dei “Gentilhuomini Scolari Aretini” tra i protagonisti rafforza questa lettura, testimoniando una partecipazione collettiva e identitaria che va oltre la semplice competizione cavalleresca. L’intera “linea editoriale” dell’opera sottolinea con forza l’origine aretina della Giostra, come se volesse fissarne per sempre la paternità, anche in un contesto lontano come quello pisano.