
Professionista che si muove sulla scena portando avanti il dialogo con la salute mentale "Un gruppo abbastanza difficile perché molto disomogeneo, ma questa è la sfida".
Sono molti i ruoli artistici e produttivi di Ugo Giulio Lurini: in un panorama spesso improvvisato è un professionista che si muove fra la scena vera e propria ed il sociale, con assoluta coerenza da molti anni. Gli chiediamo, visto le molteplici attività, su cosa sta concentrandosi in questa stagione: "Come componente della Lut, la compagnia che con tanti amici e compagni abbiamo fondato nel 1995, io seguo soprattutto progetti di "teatro sociale e di comunità", (teatro scuola, teatro e salute mentale adulti e giovani, teatro in carcere, giovani a rischio, handicap). Con la salute mentale abbiamo cominciato nel 1999, quando ancora l’ospedale psichiatrico non aveva chiuso tutti i reparti, adesso da tanti anni lavoriamo con un gruppo che fa capo al centro diurno di via Nino Bixio, c’è una familiarità e una fiducia che fanno veramente bene al cuore. Così come con i ragazzi tra i 16 e i 30 anni che lavorano con noi da quando erano giovanissimi e nel nostro laboratorio ci sono cresciuti, non ci limitiamo a fare l’incontro settimanale, spesso andiamo a teatro insieme per vedere spettacoli che ci interessano. Un gruppo abbastanza difficile perché molto disomogeneo, ma questa è la sfida. Il carcere, dove lavoro dal 2018, è diventato la mia seconda casa e la mia seconda famiglia, non è per fare della retorica, ma quando siamo lì tutti insieme pensiamo solo al teatro, al prossimo spettacolo, ognuno ha le sue beghe e le sue sventure, a partire da me, ma cerchiamo di tenerle fuori dalla sala prove".
E la carriera solista?"Continuo a lavorare nelle feste medievali nelle piazze di tanti posti d’Italia, anche se la malattia che da un paio d’anni sta limitando le mie possibilità di movimento riduce anche le mie varietà di esibizione, per intenderci non posso più fare spettacoli itineranti e salire sul mio panchetto quadrupede, ma mi sto sempre più trasformando in un annunciatore e narratore in rima improvvisata di tornei, sfilate, giochi. Poi, c’è sempre nel cassetto qualche progetto di qualche spettacolo teatrale per spazi atipici come s’è fatto tante volte con la collaborazione di Giuliano Lenzi alla regia e Andrea Fagioli alla messa in scena. Dopo avere cavalcato personaggi di disadattati, psicopatici, serial killer, siamo alla ricerca di qualche altro "bacato" d’autore cui dare vita".
Cosa ricorda meglio del passato?"Di certo, il monologo "Conversazione con l’uomo dell’armadio" di Ian Mcewan regia e allestimento dei suddetti, con il quale per quasi 20 anni abbiamo girato appartamenti, case del popolo, garage di tanti posti in Italia, e anche il successivo "Brevi interviste con uomini schifosi" di David Foster Wallace, e tutta la stagione del teatro in appartamento, una scoperta fantastica, ogni volta che andavamo sovvertivamo l’ordine di una casa, e i padroni anziché fare resistenza ci aiutavano, contagiati da un clima da prima assoluta che precedeva sempre l’andata in scena. E l’indimenticabile "Teatrino sintetico futuribile", con cui durante la pandemia abbiamo permesso a 23 attori che negli anni hanno fatto parte della lut di recitare dal vivo, in contemporanea, sulla stessa scena ma ognuno da casa sua, per tre serate in diretta streaming grazie a un sistema di interfacce di telefoni cellulari studiato e messo in atto da tre miei compagni, che a loro volta gestivano la regia e la tecnica da luoghi lontanissimi tra di loro. Oltre ovviamente alle cose di cui ho parlato sopra e che definiscono la mia identità teatrale, il teatro sociale, fatto con e per coloro che non fanno teatro perché vogliono diventare attori ma perché vogliono migliorare la propria qualità di vita; e il mio alter ego Messerlurinetto detto Stroncapettini contastorie, che vanta fidanzamenti anche ormai quasi trentennali con feste medievali di mezza Italia".
Infine, un parere sulla situazione dello spettacolo a Siena."Credo che manchi in coloro che fanno le programmazioni teatrali il coraggio di provare a cambiare gli orientamenti del pubblico, o forse c’è proprio un vero disegno di tenere lontano dai palcoscenici il teatro contemporaneo (danza, videoarte, tutti i linguaggi dello spettacolo), perché il teatro, il vero teatro è politica, in un senso molto vasto che non ha niente a che fare con i partiti, ma con l’impegno nel leggere, descrivere, criticare, il mondo in cui viviamo, e si preferisce pensare al teatro come intrattenimento, proporre rassegne infarcite di nomi televisivi o cinematografici, testi classici interpretati in maniera tradizionale, quella che un certo tipo di pubblico si aspetta e pretende, nessuna apertura ai nuovi linguaggi della scena. Ma forse questo è il ruolo che potrebbero cercare di interpretare proprio le compagnie senesi, che da tanti anni hanno contatti e rapporti con un pubblico alternativo, e spazi alternativi a disposizione".