
Anche l’attualità è cultura: la kermesse ha offerto spazi qualificati di approfondimento e riflessione. Tre giorni di un intenso e ricco flusso di idee e conoscenze premiati da una grande affluenza di pubblico.
"E ora, dopo un fine settimana in cui siamo diventati più intelligenti, torniamo tutti stupidi per gli altri 362 giorni dell’anno". È la frase che serpeggia tra i sarzanesi al termine di ogni edizione del Festival della Mente. C’è chi la pronuncia come battuta fra due risate. Chi con il rammarico di non non avere altre manifestazioni di analogo rilievo nel resto dell’anno in città. Chi con un filo di invidia per essere escluso dall’organizzazione pur ritenendo di averne i meriti. Chi si sente sollevato per il ritorno a una sonnecchiosa normalità dopo tre giorni di gran trambusto.
Comunque la si voglia vedere, è fuor di dubbio che anche quest’anno il Festival della Mente ha confermato una formula ancora vitale, vincente e fortemente attrattiva. Nonostante i suoi 22 anni. Anzi. Quest’anno sembra persino aver acquisito una nuova grandezza. Quella che porta saperi e conoscenze a dialogare tra loro e con l’esterno sull’attualità più stringente e sulle emergenze del momento. Come la strage dei palestinesi, ricordata dal palco nella cerimonia di inaugurazione dalla sindaca Cristina Ponzanelli, mentre all’esterno una trentina di attivisti del coordinamento "Restiamo umani - Riconvertiamo Sea Future" accoglieva relatori e ospiti al grido "Palestina libera". Protesta salutata sullo stesso palco dall’assessore regionale Giacomo Raul Giampedrone con l’invito ad appoggiarla con un grande applauso. Protesta che, con slogan lanciati a intervalli regolari, ha accompagnato anche la lectio magistralis del professore Paolo Magri incentrata su Donald Trump, il presidente statunitense che quel massacro lo sta sostenendo. E ancora Gaza è tornata protagonista il giorno dopo nelle storie strazianti dei suoi bambini, vittime innocenti, raccontate dalla giornalista e scrittrice Francesca Mannocchi.
Poi c’è la questione femminile, affrontata dallo storico Alessandro Barbero nella conferenza sull’invisibilità delle donne nella storiografia e riproposto ieri sera al Teatro Impavidi, in una diversa declinazione, con lo spettacolo Maria Stuarda, commovente testo teatrale scritto da Nicoletta Verna e portato in scena in anteprima a Sarzana da Marina Rocco con l’accompagnamento musicale della sassofonista Martina Notaro.
E ancora, l’emergenza della detenzione nelle carceri, con un focus sull’importanza della porosità tra il carcere e quello che c’è fuori. Ne ha parlato sabato mattina nell’intervento "Potenza di ciò che non si vede e non si sa" Edoardo Albinati, per trent’anni insegnante nel carcere di Rebibbia. Lo hanno mostrato in tutta la loro efficacia la prima e le repliche dello spettacolo teatrale "Favola di Cì" pensato proprio per il festival. Un’incursione poetica e coinvolgente, per adulti e soprattutto bambini, in una storia di errori, sogni e nuovi inizi, portata in scena da una dozzina di detenuti della Casa Circondariale di Spezia all’interno del progetto "Per Aspera ad Astra. Come riconfigurare il carcere attraverso la cultura e la bellezza". Una promettente iniziativa nazionale nata nel 2018, promossa da Acri e finanziata da undici Fondazioni. A Spezia il progetto, sostenuto da Fondazione Carispezia, si articola in laboratori di teatro, scenotecnica e fonica, curati da Scarti – Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione. Insomma, si sono conclusi tre giorni di un intenso e ricco flusso di idee e conoscenze. Difficile pensare che si dissolverà, lasciandoci di nuovo stupidi come prima.