
Viaggiano, cambiano, si dividono. Corpo e social al centro del vissuto. Il sociologo Francesco Morace offre con la sua indagine una cartina. per conoscere meglio i nativi digitali. Le differenze da 13 a 29 anni .
La Generazione Z viene raccontata come un blocco compatto: dipendenti dai social, in crisi d’identità, impegnati e fluidi, ma spesso confusi. Una sintesi efficace per titoli e slogan, ma fallace quando si cerca di capire davvero i giovani nati tra il 1996 e il 2012. È proprio contro questa narrazione semplificata che si muove il libro "Ma quale Gen Z?", firmato dal sociologo Francesco Morace e dalla ricercatrice Linda Gobbi (Egea, 2025), presentato ieri al Pin alla presenza della presidente Daniela Toccafondi, in un incontro organizzato con l’associazione Bibliofili Aldo Petri.
Al centro del libro, un’ampia ricerca condotta tra giugno e ottobre 2024 da Future Concept Lab, in collaborazione con Sylla e Webboh Lab. Il campione, rappresentativo per età, genere e territorio, ha coinvolto 4.000 giovani suddivisi in quattro gruppi distinti: ExpoTeens (13–15 anni), ExperTeens (16–19), CreActives (20–24), ProActives (25–29). Una classificazione che ribalta l’approccio generazionale classico e mette in luce le profonde differenze tra chi oggi affronta l’adolescenza e chi è già immerso nel mondo del lavoro.
"L’errore che spesso si commette – ha spiegato Morace – è considerare i giovani come un blocco unico. In realtà, tra i 13 e i 29 anni si compiono passaggi fondamentali". Il libro indaga queste differenze e ne individua alcune centrali. Ad esempio, il tema del corpo: "La generazione più digitale di sempre ha come preoccupazione principale il corpo fisico, non solo dal punto di vista della forma ma in tutte le sue accezioni come, ad esempio, quella sessuale o di salute", spiega Morace.
Un’altra linea forte emersa dall’indagine è quella del viaggio: per la Gen Z è molto più di un passatempo. È strumento di crescita, scoperta, affermazione personale. "Oggi- sottolinea Morace - con il giusto volo low cost e una buona ricerca online, si può visitare una capitale europea al prezzo di una serata in discoteca. Questa generazione viaggia molto più dei propri genitori, e lo fa in modo consapevole, pianificato".
Proprio attorno al tema del viaggio hanno lavorato diversi gruppi di studenti dell’Università di Firenze, che hanno prodotto progetti originali e innovativi, alcuni già all’attenzione del mercato. "Significa che se coinvolti in proposte concrete e su temi rilevanti, i ragazzi rispondono con creatività e impegno", sottolinea Morace.
Una altro punto di riflessione riguarda il rapporto con i social media. I più giovani, cresciuti nell’era di TikTok, parlano per video e movenze, i più grandi, ’figli di Instagram’, privilegiano l’estetica, la fotografia, la costruzione di immagine. "Il mondo digitale incide sui comportamenti dei giovani", aggiunge il sociologo.
In definitiva, “Ma quale Gen Z?” non solo decostruisce una narrazione, ma offre anche uno strumento utile a chi lavora nel mondo della scuola, della politica, dell’impresa. Non basta parlare ai giovani: serve capire quali giovani. Come dire: se si vuole dialogare davvero con la Generazione Z, prima bisogna smettere di chiamarla così.
Silvia Bini