
Marco Ranaldo conclude il mandato alla presidenza dell’associazione Pratofutura
Marco Ranaldo ha concluso il periodo della sua presidenza di Pratofutura lasciando uno studio sullo stato salute del distretto, utile per provare ad accarezzare una nuova identità di Prato, alle prese con un presente complicato e un futuro indecifrabile. In attesa delle elezioni a fine luglio dei vertici associativi.
Come andare oltre la crisi? "Solo insieme si vince: ci vogliono aziende più forti e alleanze industriali per tornare a essere grandi. In questi anni, come Associazione, abbiamo concentrato gran parte delle nostre energie sul coltivare, all’interno della nostra base di circa 100 soci, una cultura dell’aggregazione, oggi indispensabile per affrontare un mercato sempre più competitivo e globale. In particolare nell’ultimo anno abbiamo realizzato lo studio ’Perimetro Reale’".
Di che cosa si tratta? "E’ un’indagine senza filtri interpretativi che ha coinvolto oltre 350 imprenditori tessili del distretto, circa il 15% del totale, su temi cruciali per il presente e il futuro del comparto. I risultati parlano chiaro".
In che senso? "Il tessuto produttivo di Prato è oggi estremamente fragile: il calo dei fatturati, le incertezze geopolitiche e il mutamento delle abitudini di consumo stanno lasciando segni profondi. Solo il 30% degli intervistati si dice fiducioso in una crescita futura; il 65% prevede stagnazione o declino, e un preoccupante 5% non si vede più sul mercato nei prossimi anni. Il distretto è troppo frammentato. Le aziende sono troppe e troppo piccole. A questa frammentazione si somma una scarsissima integrazione con la comunità imprenditoriale cinese, che continua a muoversi in parallelo, senza reali connessioni strutturali".
In questo scenario di che cosa ha bisogno Prato? "Manca un piano strategico di sviluppo tessile per il territorio. Oltre l’80% degli imprenditori ritiene l’apporto delle associazioni di categoria e della politica insufficiente o poco incisivo. Andare avanti cosi potrebbe essere rischioso. Gli imprenditori se ne stanno rendendo conto pur non capendone fino in fondo gli effetti".
L’indagine mostra qualche spiraglio di luce? "C’è un dato che sorprende e apre uno spiraglio: l’86% degli intervistati si dichiara disponibile a valutare processi di aggregazione parziale, e oltre il 70% anche a forme integrative totali. Il 30% sarebbe pronto a cedere quote della propria azienda, a patto che si tratti di partner industriali e non finanziari".
Significa che Prato non si arrende? "Gli imprenditori non vogliono cambiare mestiere, ma il modo di fare impresa. E’ il messaggio più forte del sondaggio. Se non vogliamo diventare un campionarificio, se non vogliamo lasciare il futuro del distretto in mani altrui, se non vogliamo subire una riconversione imposta e dolorosa, abbiamo un’unica strada: far crescere le nostre aziende, farle diventare più strutturate e competitive, creare le condizioni per favorire aggregazioni, fusioni o integrazioni".
Di che cosa c’è bisogno per guidare questo processo? "C’è bisogno di un acceleratore: le associazioni di categoria, gli ordini professionali, le banche e la politica devono diventare i driver di questo cambiamento, agevolando l’accesso agli strumenti normativi e finanziari, rendendo il cambiamento possibile, sostenibile e conveniente. Gli imprenditori hanno passione, competenze, senso del lavoro. Ma chiedono linee guida chiare e un orizzonte condiviso. Il distretto non ha bisogno solo di resistere, ma di esistere: ha bisogno di un progetto condiviso, di una visione. E di qualcuno che abbia il coraggio di governarla".
Sara Bessi