
Maila Ermini e Gianfelice D’Accolti in uno dei loro spettacoli
La Baracca è un teatrino privato piccolo e lontano da tutti i centri, e non gli è mai stato chiesto niente, se non in rare occasioni. Un tempo era un teatro che sognava, e ogni tanto si trova a farlo ancora, quasi per abitudine. Pur sognando, non si è mai scordato da dove viene e di cosa è fatto: è una baracca, è di legno, è tutta riciclata, povera, periferica. Un tempo sognava un pochino più in grande, perché faceva parte dei Piccoli Teatri della Toscana, e arrivava qualche spicciolino pubblico ogni tanto, con cui chiamavo a recitare anche i colleghi. Ora gli spiccioli non ci sono più, perché sulla cultura dal basso la Regione ci ha soffiato come su un pappo, e via! dispersi nel vento.
Ultimamente s’è di nuovo parlato di teatro di periferia eccetera, e proprio a me son venuti a dire, certi politici, che la loro idea sarebbe stata quella di “valorizzare” la periferia (ah, sì?), loro che non sanno nulla della fatica boia del portare avanti la santa cultura in periferia dopo che tutto è stato distrutto e quando la cultura vincente è quella del centro, televisiva, o internettica, comunque sempre quella benedetta dalla politica. Quando sei tu che fai tutto, dall’organizzazione al testo alla messa in scena. Per questo invece di periferia mi sembra meglio definire La Baracca TeatroinFrazione, sia perché ci troviamo in una frazione, sia per indicare le nostre infrazioni culturali rispetto all’”astutismo” culturale, e anche frazione nel senso di piccole cose, minuscole, nonostante che di grosse cose noi ne abbiamo fatte, soprattutto per Prato, rievocandone la storia come pochi e per primi, anche se mai riconosciuti: le vicenfe dei Celestini, dei Concubini, il Sacco, il Datini e la Margherita, Federico II, il Bresci, Gonfienti e gli Etruschi, la Calamai, il sindaco Giovannini, Malaparte.
Non molti giorni fa suonano al citofono di casa mia, abito davanti al mio teatro, e una signorina di una agenzia immobiliare mi chiede si vendono case intorno, e io domando perché ogni due e tre mesi viene qualcuno a farmi la stessa richiesta. La giovanotta ribatte istruita che la zona ha un certo pregio: vicino all’autostrada, ci sono le botteghe, perfino un teatro, e questo allontana il degrado e fa salire le quotazioni. - Non lo sa che c’è il teatro? Ce l’ha davanti. Non dico altro: mai sia rivelare che quel teatro l’ha fatto nascere insieme al babbo, la metterei in difficoltà, le toglierei il gusto.
Questi i primi due spettacoli del TeatroInFrazione; il resto della stagione verrà presto, ci sto lavorando. Il primo porta la firma di Gianfelice D’Accolti: una interpretazione dalle prose di un autore tedesco non molto conosciuto in Italia, Wolfagang Borchert, ostinato poeta contro la guerra e antinazista, morto giovanissimo. Il secondo è opera mia, Un mese con Carlo Monni. Per me Monni interpretò nel 2011 e 2012 Leonardo, Diario Intimo di un Genio. Lo spettacolo è tratto dal diario di scena di quei giorni e non rievoca solo la figura di Carlo, ma anche le incomprensioni e le arrabbiature che nacquero fra noi. In realtà i giorni furono più di 30, durante i quali gli feci da infermiera e cuoca, da autista e confessora, ed ebbi modo di riflettere, anche insieme a lui, sul teatro e sul cinema, sugli attori (quanti aneddoti!) e sulla cultura popolare e birbona. La commedia vera fu quella che si svolse fra noi e che solo ora il pubblico può vedere.
*Attrice e sceneggiatrice fondatrice de La Baracca