MASSIMO BILIORSI
Cronaca

Federica Olla, turismo e teatro: "Il Palio come metafora di vita. Ecco il cuore dell’allestimento"

Dalla rielaborazione dei grandi classici come il Mago di Oz alle storie di Liberazione "L’ultimo lavoro non è un testo da palcoscenico, mi piacerebbe presentarlo nelle contrade".

Dalla rielaborazione dei grandi classici come il Mago di Oz alle storie di Liberazione "L’ultimo lavoro non è un testo da palcoscenico, mi piacerebbe presentarlo nelle contrade".

Dalla rielaborazione dei grandi classici come il Mago di Oz alle storie di Liberazione "L’ultimo lavoro non è un testo da palcoscenico, mi piacerebbe presentarlo nelle contrade".

Grande passione, una carica non indifferente: ecco Federica Olla che, con assoluta passione, affronta da alcuni anni il palcoscenico, oltre la sua professione di guida turistica.

Guardando indietro quali spettacoli ricorda con più piacere?

"I primi testi, che rielaboravano grandi classici come il Mago di Oz, o il Piccolo Principe, li ricordo con infinito affetto. In merito alle esperienze più recenti, però, una delle emozioni più profonde mi arriva da "Per una manciata di donne e terra", con la compagnia Ensarte; sicuramente perché si mette in scena una storia recente, ancora viva nella memoria, e anche molto personale, nel mio caso. L’aspetto che ritengo fondamentale nella preparazione e realizzazione di ogni spettacolo è l’aspetto umano, la complicità che si sviluppa naturalmente tra chi partecipa, sia sul palco che dietro le quinte. Penso sia questo, ancora, che mi impone di destinare ogni minuto di tempo libero a questa attività".

Ci parli di questo allestimento che mette insieme storia, con la liberazione e il Palio con il suo ritorno dopo la guerra?

"L’idea è di Francesco Burroni. Lesse un’edizione della collana "I Gemelli", pubblicata qualche anno fa dalla Contrada della Lupa. Si tratta di una ricerca di archivio di Simonetta Michelotti (scomparsa di recente) con Laura Barluzzi e Anna Laura Pasqui, che racconta i fatti, le difficoltà, la frenesia e la gioia con cui venne organizzato il Palio della Liberazione a poche ore dall’annuncio della fine della guerra, quel 9 maggio del 1945. Francesco ne aveva fatto un monologo a canovaccio, e lo aveva già messo in scena anni fa. L’anno scorso, a ottant’anni dal 3 luglio del ‘44, Francesco ha pensato di rispolverarlo e mi chiese di pensarci. A onor del vero ci ho pensato fin troppo.... Tanto che mi sono convinta a lavorarci solo durante l’estate scorsa. Non ero convinta della mia interpretazione, non riuscivo a immaginare il "come" avrei potuto fare una narrazione che non annoiasse, che catturasse l’attenzione. Poi, come succede spesso, è scattato qualcosa. I consigli di Francesco, l’aiuto pratico, le musiche, le luci di Marco Santinelli (il mio fidatissimo tecnico audio e luci, gentilmente prestato dalla compagnia Il Grappolo), e - non ultima - la decisione di calarsi completamente nello studio profondo di quella storia, hanno prodotto un testo, un modo, un sentimento che ora sento concreto e solido. Dopo l’esperienza della pandemia, che ci ha fatto vedere dal vero cosa possa voler dire perdere la quotidianità, penso che questo monologo si inserisca sia come memoria storica in un anniversario speciale, sia come riconferma di un modo di essere squisitamente senese. La frase "il Palio come metafora di vita" acquista concretezza".

Dove le piacerebbe rappresentarlo?

"In piccoli ambienti, circoli, enti, associazioni, contrade... Non è un testo da palcoscenico. Nell’ottobre scorso lo abbiamo rappresentato alle Stanze della Memoria, e la dimensione è quella giusta. Non è neanche un testo "esportabile" fuori dal quadro cittadino: troppi sono i riferimenti palieschi. Dinamiche che si traducono in poche parole, chiare, chiarissime per questo specifico contesto, incomprensibili per chi è osservatore esterno".

Attraverso la sua esperienza, anche per la sua professione principale, quali problemi ci sono a Siena per rappresentare o fare spettacolo?

"Nonostante le rassegne estive, diffuse nelle varie zone del centro, che ovviamente sono possibili solamente con la bella stagione, la mia impressione è che si dia poca attenzione alla creatività locale. Sì, ci sono teatri adatti e attrezzati, in generale, ma non sono abbastanza, e hanno spesso dei costi molto alti. Ma sarebbe accettabile se, di contro, ci fossero tante realtà più piccole, sale, circoli, dove mettere in scena cose anche meno complicate, o pretenziose, a costi non proibitivi. Parlo per le molte compagnie esistenti - anche non professionisti - a prescindere dalle attività o finalità delle stesse (scuola, beneficenza, divulgazione...) Vedo che il fermento c’è. La voglia e le competenze spesso vanno di pari passo, ma pur trovando un luogo dove rappresentare, non si riesce nemmeno a coprire le spese delle attrezzature o di chi supporta tecnicamente l’evento. Sarebbe utile avere a disposizione degli spazi di varie dimensioni, dove proporre anche esperimenti. Danza, prosa, letture, musica... cercando di coinvolgere generazioni diverse in generi di spettacolo disparati. E tanti potrebbero cimentarsi, e scoprire talenti, chissà. Sarebbe molto stimolante".