REDAZIONE PRATO

Il parroco che ascolta gli immigrati: "Il loro progetto di vita non è qui. Cercano di risparmiare su tutto"

Per Don Szeliga i lavoratori aspirano a trasferirsi in Germania o tornare a casa

Don Helmut Szeliga, parroco di San Giusto e responsabile pastorale familiare

Don Helmut Szeliga, parroco di San Giusto e responsabile pastorale familiare

Fenomeni come il caporalato e il racket degli affitti esistono a Prato e interessano i lavoratori pakistani che li vivono, però, come la fase di un passaggio, quasi obbligato, della loro vita. Don Helmut Szeliga, parroco di San Giusto e responsabile della pastorale familiare della Diocesi, dall’anno scorso conosce bene queste problematiche perché fu tra i primi ad appoggiare le battaglie dei Sudd Cobas per la giornata lavorativa di 8 ore. Don Helmut, come altri sacerdoti, partecipò al corteo, organizzato sempre dai Sudd Cobas, il 13 ottobre 2024 nella zona artigianale di Seano contro le aggressioni ai lavoratori sindacalizzati. Se da una parte tanti lavoratori pakistani hanno ottenuto contratti regolari, giornate di 8 ore e diritti riconosciuti, dall’altra restano queste situazioni di caporalato e caro-affitti che arricchiscono chi sta in cima alla piramide. "Un anno dopo il corteo - racconta don Helmut - posso dire che sono stati ottenuti dei risultati per quanto riguarda i contratti, le 40 ore settimanali ma se questo ha influito sulla loro vita privata, non posso dirlo. Non ho una visione ben precisa della comunità pakistana perché i lavoratori non si confidano. Chiaramente era emerso, anche in precedenza, che il costo dell’affitto era alto e avevano difficoltà a pagare: da qui la scelta, per molti di condividere gli appartamenti".

In media, gli affitti degli appartamenti oscillano dagli 800 ai 1000 euro e questo implica che almeno 4/5 operai devono vivere insieme per fronteggiare tale cifra. Pochi operai pakistani hanno portato a Prato la famiglia. "La maggior parte di loro - prosegue don Helmut - sono ragazzi giovani e mandano i soldi alle famiglie in Pakistan. Loro non hanno un progetto di vita da realizzare a Prato o in Italia. L’Italia viene vista come un luogo di approdo dove, peraltro, i tempi per ottenere i documenti e mettersi in regola, sono più rapidi. Qualcuno mi ha raccontato di aver lavorato in Grecia e che aveva pure un buon lavoro. E perché non sei rimasto, gli ho chiesto: la risposta è stata che in Grecia non c’era modo, in tempi accettabili, di ottenere i documenti e fare il ricongiungimento familiare. Il loro obiettivo è risparmiare e poter andare con la famiglia in Germania o nel nord Europa dove ci sono altre opportunità oppure tornare in patria".

Gli operai pakistani ma anche coloro che svolgono altri mestieri come i rider, i venditori nei mini-market, i parrucchieri sono consapevoli dei sacrifici che li aspettano in Italia e sono disposti a farli per avere qualche risparmio. Non hanno mai chiesto un aiuto economico alla parrocchia. "Le loro condizioni di vita - conclude il parroco - rispecchiano proprio il desiderio di risparmiare su tutto, partendo anche dal cibo. Risparmiare anche un solo euro è importante per realizzare il proprio progetto e su questo sono determinati sia a sopportare lavori pesanti sia a condividere le case e la spesa. Un po’ mi ricordano i ragazzi polacchi che negli anni ’90 arrivarono a Prato: in quattro o cinque condividevano la casa e il lavoro".

Sul fronte dei cittadini italiani, la parrocchia invece riceve molte richieste di aiuto in particolare per il reperimento delle case perché il mercato degli affitti è sempre in salita e inarrivabile.

M. Serena Quercioli