LAURA NATOLI
Cronaca

Nacque con disabilità, Asl condannata a risarcire 160.000 euro

Il bimbo riportò un danno permanente a un braccio. Per i genitori fu colpa della ventosa usata durante il parto. Nel mirino anche la cartella clinica

Una sala parto Immagine di archivio

Una sala parto Immagine di archivio

Prato, 17 luglio 2025 – Un parto difficile per il quale fu necessario ricorrere all’uso della ventosa. Una manovra che, secondo i genitori del neonato, provocò una lesione permanente alla spalla del bambino rimasto invalido al braccio destro, nonostante le cure che gli furono profuse nei primi anni di vita, fra cui un intervento chirurgico. Il bimbo non ha mai recuperato la piena funzionalità del braccio tanto che i genitori decisero di sottoporlo a una valutazione medico-legale secondo la quale la disabilità al braccio fu provocata da una manovra sbagliata durante il parto e non tanto da una sofferenza durante la gestazione. I genitori hanno fatto ricorso al tribunale civile di Firenze contro l’Asl e hanno ottenuto ragione: il giudice ha condannato l’Asl al risarcimento del danno per 111.000 euro oltre a 25.000 euro per ciascun genitore e al pagamento delle spese legali.

Il fatto risale alla fine di agosto del 2016 quando la donna arrivò all’ospedale Santo Stefano per partorire il terzo figlio. Il bambino alla nascita mostrò subito una difficoltà motoria dell’arto destro. Ad appena un anno venne sottoposto all’intervento chirurgico e poi ad alcune sedute di botulino ma non recuperò mai la piena funzionalità dell’arto e per questo fu chiesta la consulenza medico-legale che dichiarò la disabilità. Per il consulente il piccolo aveva patito una lacerazione durante il parto con la ventosa. La ricostruzione venne però contestata dall’Asl, chiamata in causa come azienda di riferimento: la cartella clinica del parto era incompleta e quindi non era possibile, secondo i consulenti dell’Asl, stabilire con certezza il nesso causale tra il danno patito dal bambino e il parto. Inoltre, l’Asl sosteneva che non erano state evidenziate “condotte alternative che i medici in sala parto avrebbero potuto tenere”. E’ proprio sull’incompletezza della cartella clinica che si è giocata la sentenza.

“Analizzando la consulenza tecnica – scrive il giudice Massimiliano Sturiale di Firenze nella sentenza – emerge che, sebbene sia vero che non è possibile stabilire cosa sia avvenuto durante il parto, è parimenti vero che la condotta dei sanitari sia stata la causa più probabile del danno”. Una conclusione a cui il giudice arriva proprio per “l’insufficiente e lacunosa tenuta della cartella clinica”. Il giudice, nel motivare la sentenza di condanna, si rifà a una pronuncia della Cassazione secondo cui “l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza che può essere utilizzata per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente”.

“La carenza di informazioni in cartella, soprattutto in riferimento alla valutazione clinica al momento nel quale si decide di applicare la ventosa, pur rendendo impossibile ricostruire cosa si a avvenuto, mette in luce una condotta dei sanitari astrattamente idonea a provocare il danno. La lesione non è facilmente spiegabile con un evento spontaneo in utero”.