LINDA MEONI
Cronaca

I Dialoghi di Pistoia: "Usciremo dalla trappola evolutiva. I giovani ci tireranno fuori dai guai"

Il professor Telmo Pievani alla sedicesima edizione della rassegna che si terrà il 23, 24 e 25 maggio "Parliamo di crisi ambientale ormai da mezzo secolo, ma la grande politica finora ha fatto poco o nulla".

di Linda Meoni

PISTOIA

Macchine perfette che "fanno", sì, ma che mentre fanno finiscono pure per "disfare". Meraviglia e distruzione insieme, questo può la specie umana, a produrre un’ingiustizia: chi verrà dopo di noi pagherà il prezzo per ciò che non ha fatto. Si chiama "trappola evolutiva" ed è il risultato di un iper-sfruttamento che ha prodotto grandi vantaggi a un costo ambientale drammatico.

Lo sostiene Telmo Pievani, evoluzionista, filosofo della scienza e saggista. Sarà lui a inaugurare la sedicesima edizione dei "Dialoghi di Pistoia" (23, 24 e 25 maggio prossimi; programma e biglietti già in vendita su dialoghidipistoia.it), festival di antropologia che quest’anno s’interroga su "Stare al mondo. Ecologie dell’abitare e del convivere".

Professore, dai primi seri (e mediatici) allarmi sul rischio ambientale/climatico a oggi è davvero cambiato qualcosa?

"Di crisi ambientale parliamo da mezzo secolo. Dal punto di vista politico non abbiamo fatto abbastanza. A livello sociale invece, in tema di percezione, la sensibilità collettiva è cresciuta. Il comportamento dei consumatori italiani sta evolvendo, molti ragazzi e ragazze si iscrivono a facoltà scientifiche che hanno a che fare col problema. Ho 54 anni e i miei figli oggi adolescenti sono nati dentro il problema, sono ‘nativi climatici’".

C’è chi invoca la ‘rivoluzione’. Può davvero un movimento dal basso dare la spinta necessaria?

"Abbiamo sperato a lungo che i grandi accordi internazionali potessero essere la strada, che la parola dei capi di stato potesse segnare una svolta. Oggi, con le ultime fallimentari Cop, vediamo che non è così. Poi le guerre, i conflitti. Impossibile pensare che Cina, Stati Uniti, Russia e Europa possano sedere allo stesso tavolo sul tema. Il cambiamento può accadere bottom-up: questo significa comunità energetiche, consumare in modo intelligente, ridurre gli sprechi. Sono tantissime le cose che possono nascere dal basso. Nella speranza che questo generi consenso e scuota la politica". A proposito di grandi potenze: dove porterà la strada spudoratamente negazionista di Trump?

"A un inevitabile rallentamento lungo quattro anni. Stiamo parlando degli Usa, il più grande produttore al mondo di gas serra. Con Trump dovremo lavorare di adattamento, arriveremo velocemente ai due gradi di surriscaldamento. Occorre essere pragmatici e realistici e correre ai ripari. Riflettiamo però sui numeri: Trump ha vinto con poco meno del 30 per cento degli aventi diritto al voto. È anche un problema delle democrazie. Resta il fatto che la crisi ambientale andrà avanti comunque, destra o sinistra al comando che sia".

A proposito di ‘antropocene’: perché ancora formalmente non è riconosciuta come epoca e cosa cambierebbe prendere atto del passaggio?

"La bocciatura è solo tecnica. Ma il successo globale ottenuto da questa parola, nata per pura provocazione, è enorme. Semmai l’Antropocene ha un grosso limite che io condivido. Sostiene che la colpa di quanto accaduto sia di tutta l’umanità. Non è così".

La sua è una scienza che scende dalla cattedra e si mischia tra la gente: perché questa scelta?

"Mi sono formato negli Usa, all’American Museum of Natural History, dove si fa divulgazione e ricerca insieme. Il mio maestro mi ricordò che ogni cosa che avrei fatto avrei poi dovuto raccontarla ai visitatori. Questo imprinting mi è rimasto. Lo vivo come un dovere. La trasparenza per gli scienziati è un valore etico fondamentale".

Da uomo di scienza e di mondo, si sentirebbe di promettere che ‘andrà tutto bene’?

"Sì. Oggi in università stanno entrando giovani che faranno scoperte straordinarie. Loro ci tireranno fuori dai guai".