LINDA MEONI
Cronaca

Gino Cecchettin a Pistoia: "Per Giulia e tutte le altre, serve una nuova coscienza civile"

Il padre della giovane uccisa dall'ex fidanzato nel novembre 2023 sarà in libreria e a teatro con la Fondazione che porta il nome di Giulia: "Educare, in famiglia come a scuola. Emozionarsi? Smettiamo di provare vergogna"

Gino Cecchettin, il padre di Giulia

Gino Cecchettin, il padre di Giulia

Pistoia, 5 giugno 2025 - Il titolo del libro ricorda l’incipit di una lettera: «Cara Giulia». Una lettera che non arriverà mai a destinazione, ma che era giusto scrivere. Perché giusto invece no, non lo è il doversi rivolgere a una figlia che non c’è più. Uccisa, a 22 anni, da una furia travestita da amore. Quella Giulia è Giulia Cecchettin, viso pulito e sorriso sincero ormai diventati patrimonio collettivo, da quando, 11 novembre 2023, la sua storia è diventata storia di tutti. Da quando lei è diventata figlia di tutti. Lo sa bene babbo Gino, anche il suo un volto che si fa fatica a dimenticare, col quale è difficile non empatizzare.

Colui che con straordinaria intelligenza, compassione e amore è riuscito in una metamorfosi che penseremmo impossibile: evolvere il dolore della perdita in bene, metterlo a disposizione di tutti perché da quelle macerie possa nascere qualcosa di utile e farlo attraverso una Fondazione che porta il nome di Giulia. Sarà proprio Gino Cecchettin l'ospite di oggi, giovedì 5 giugno alle 18, alla libreria Lo Spazio di Pistoia (via Curtatone e Montanara 20) quale anteprima del festival «Pari e dispari». Qui presenterà il suo «Cara Giulia» (Rizzoli, 2024) scritto insieme a Marco Franzoso; Cecchettin sarà in dialogo con Chiara Mazzeo e Lavinia Ferrari.

Perché secondo lei la storia di Giulia è diventata più di altre un simbolo in tema di femminicidio?

«L’eco mediatica è stata enorme, Giulia è arrivata in tutte le case. Molti hanno empatizzato con lei: la ragazza della porta accanto, una studentessa che frequentava l’università insieme al suo aguzzino. Si pensa che i drammi accadano delle periferie di città dove c’è malessere e invece la violenza di genere è ovunque. E poi c’è l’altra mia figlia, Elena, che con l’amore per la sorella è riuscita a innescare una rivolta silenziosa ma tagliente, riportando in auge una parola forse dimenticata: patriarcato. Per lei Filippo non è mai stato un mostro, ma un ‘figlio sano del patriarcato’. Così si è scoperchiato un vaso di Pandora: la gente, i movimenti. Giulia è diventata figlia di tutti. Ma Giulia non è la sola, tutte sono importanti. E io vorrei parlare anche a nome loro».

“Le leggi e gli strumenti ci sono. Ma il tema forse è più grande di noi”, ha detto la premier Meloni commentando il femminicidio di Afragola. Allora cos’è che manca?

«L’educazione. Lo dicono gli esperti. Chi commette quegli atti lo fa per incapacità ad accettare un no, a vedere un senso nella vita, a gestire l’emozione».

Introdurre a scuola momenti di educazione sessuale, affettiva, sentimentale può bastare?

«Non so dire se questo sia sufficiente. Ma è di certo necessario, assieme a tutta un’altra serie di attività da mettere in atto per abbattere gli stereotipi. Che esistono e devono essere notificati. Deve nascere una nuova coscienza civile».

E la famiglia? Che posto occupa in questo percorso?

«Da 0 a 6 anni l’educazione è quasi esclusivamente in capo alla famiglia. Il ruolo dei genitori è centrale e la formazione sarebbe utile anche qui. Ma scuole per i genitori sappiamo non essercene. In quest’ambito è già più complesso intervenire».

Il libro s’intitola «Cara Giulia». Dovesse invece rivolgersi un «Caro Gino», cosa si direbbe?

«Il Gino di trent’anni fa era un uomo che aderiva a tutti quegli stereotipi che oggi si combattono, quelli coi quali si cresceva. Ci dicevano ‘non piangere’, ‘non emozionarti’, ‘sii forte sopra ogni cosa’. Qualche sera fa ero al concerto di un artista che piaceva tanto a Giulia. Ho pianto per esser lì a vedere un suo idolo. Ho sentito Giulia. In passato me ne sarei vergognato. Questo i maschi devono capire: vivere pienamente significa anche poter gestire quei sentimenti etichettati come femminili».

Linda Meoni