Sul numero 93 dell’autorevole ’Bollettino Storico Pisano’ è uscito un interessante studio a cura di Federico Egori dal titolo “Alì Piccinino, il corsaro dalla narrativa alla realtà storica”. L’autore, laureato in Informatica Umanistica, solleva seri dubbi sull’attribuita identità di Alì Piccinino, così come ricostruita nel bel romanzo di Riccardo Nicolai. Alla base dell’inesatta ricostruzione vi sarebbe un errore di omonimia. Il condizionale è d’obbligo perchè le fonti sono poche e confuse. La nuova ipotesi avanzata da Egori consentirebbe comunque di contestualizzare anche il celebre carteggio che ha alimentato la narrazione oggi diffusa. Nulla infatti prova che Alì sia nato a Mirteto così come nulla documenta i raid corsari accaduti a Massa nel 1581, anno del suo presunto rapimento. Non solo, l’autore, sulla base della documentazione consultata, confuta la data di costruzione della Moschea e la dubbia attribuzione della provenienza del marmo dalla Brugiana.
Ma c’è di più: anche la nomea di “buon musulmano” risulta contrastare con le testimonianze che al contrario qualificano Alì come agnostico. Egori prosegue asserendo che nulla prova che Alì abbia ottenuto il titolo di Pascià di Algeri, personaggio che invece cercò di sovvertire. Ma è messa in discussione anche la causa della morte che non è da addebitarsi ad un avvelenamento ma a una malattia. In ultimo, la presunta liberazione dei compatrioti divenuti schiavi che, in contrasto con le fonti ufficiali, fanno di Alì un antesignano dell’integrazione culturale mediterranea, immagine che, come sostiene Egori, è stata troppo facilmente e frettolosamente sposata dalle istituzioni.
Ricordiamo che il romanzo di Nicolai racconta la storia di Alì Piccinin, un bambino di 10 anni che sul finire del 1500 venne rapito al Mirteto, durante un’incursione di pirati barbareschi e condotto ad Algeri. Anziché diventare oggetto di riscatto o restare schiavo, il piccolo Alì diventa pirata e poi, da adulto, scala tutta la gerarchia del potere fino a diventare Pascià. Nella terra natale non tornerà, ma Alì non si scorderà mai né della città apuana né dei suoi amati genitori. Alcune lettere e pergamene inviate, tra il ’500 e il ’600, dall’Algeria al principe Alberico Malaspina, ritrovate dall’autore del libro all’Archivio di Stato di Massa, sono alla base del racconto. Il libro ha avuto successo, è tradotto in francese e pubblicato anche in Algeri. Ha permesso di intrecciare rappporti con il governo algerino e di realizzare una statua in marmo, opera dagli studenti del Palma, collocata nel grande parco botanico della capitale algerina.